Il Datterino di Artusi – Schlutzkrapfen (ravioli tirolesi)

Gli schlutzkrapfen, conosciuti anche come ravioli tirolesi, sono una specialità tipica altoatesina, originari della Val Pusteria; appartengono alla tradizione contadina e sono preparati con una sfoglia di farina di segale e grano. La ricetta classica prevede un ripieno di spinaci e formaggio, insaporito da erba cipollina, una breve cottura in acqua salata e il condimento con burro fuso e formaggio.

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Questi ravioli hanno una caratteristica forma a mezzaluna e il bordo un po’ irregolare, chiuso a mano. Ne esistono alcune varianti, con ripieni diversi, in alcuni casi anche di carne, ma in ogni maso, la casa rurale tipica altoatesina, la padrona di casa ha la sua ricetta, fatta di anni di tradizione e di amore per gli ingredienti locali.

Vi proponiamo la ricetta più conosciuta, con spinaci, ricotta e parmigiano; la farina di frumento può essere sostituita anche completamente da farina d’orzo, ma la farina di segale non deve assolutamente mancare. In primavera, abbondate con l’erba cipollina fresca, darà un tocco di profumo e gusto inconfondibili.

Potete tirare la sfoglia a mano o a macchina; utilizzate uno spessore non troppo sottile (andrà bene il penultimo spessore delle macchine comunemente in commercio), in quanto è fondamentale che il raviolo non perda di consistenza in cottura. Il disco di pasta potrà avere un diametro di 5-7 cm. Vi consigliamo di passare velocemente gli spinaci cotti con un tritatutto, prima di aggiungere i formaggi e le spezie; la cremosità del ripieno, si presta benissimo alla porzionatura con una sac à poche.

Ingredienti (per circa 40 ravioli)
per l'impasto
170 g di farina di segale
100 g di farina di frumento 00
1 uovo
80 g di acqua
10 g di olio EVO
sale

per il ripieno
170 g di spinaci lessati
1 piccola cipolla bionda
1 spicchio d'aglio
10 g di erba cipollina
100 g di ricotta di latte vaccino
25 g di trentingrana o parmigiano grattugiato
20 g di burro
pepe nero, noce moscata
sale 

per il condimento
100 g di burro
20 g di erba cipollina
trentingrana o parmigiano grattugiato

Iniziate con la preparazione della sfoglia. Mescolate le due farine con una presa di sale. Battete velocemente l’uovo intero con l’acqua e l’olio, aggiungete alla farina e impastate, fino a ottenere un panetto omogeneo, che avrà una consistenza maggiore e sarà meno elastico rispetto alla classica pasta all’uovo. Avvolgete con una pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente.

Procedete con il ripieno. In una casseruola fate appassire l’aglio e la cipolla tritati con il burro; aggiungete quindi gli spinaci lessati, da cui avrete eliminato completamente l’acqua di cottura. Lasciate cuocere a fuoco dolce per 5-10 minuti.

Togliete dal fuoco e frullate per qualche secondo con il tritatutto. Aggiungete la ricotta, il parmigiano, il sale, il pepe, la noce moscata e l’erba cipollina tagliata (con una forbice o un coltello a piccole rondelle come in figura; non usate il tritatutto) e incorporate bene il tutto.

Riprendete il panetto di pasta. Tagliatene 1/4 e cominciate a tirare la sfoglia. Tagliate quindi la pasta con un disco di metallo (5-7cm di diametro). Riponete un po’ di ripieno al centro di ogni raviolo con una sac à poche. Con un dito bagnato, inumidite il bordo a tutta circonferenza. Chiudete quindi gli schlutzkrapfen a mezzaluna pizzicando e sigillando tutto il bordo. Procedete tirando la sfoglia un po’ per volta e mettendo quindi a riposare i ravioli spolverandoli di semola di grano duro, fino a quando avrete finito l’impasto e il ripieno.

In un pentolino lasciate fondere il burro a fuoco dolce e quando sarà tutto fuso e inizierà a soffriggere, spegnete il fuoco e aggiungete l’erba cipollina tagliata.

Lessate gli schlutzkrapfen in abbondante acqua salata cui avrete aggiunto due cucchiai d’olio (cuocete per 2 minuti).

Scolate e condite con il burro fuso e l’erba cipollina e una abbondante spolverata di formaggio grattugiato.

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Il Datterino di Artusi – Cantucci

Cantucci e vin Santo sono uno dei binomi classici che rimandano alla Toscana e alle sue tradizioni gastronomiche. Anche conosciuti come “biscotti di Prato”, si tratta di biscotti secchi alla mandorle caratterizzati da una doppia cottura e dalla consistenza molto secca e friabile.

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La prima traccia che si ha è del 1691, nel dizionario dell’Accademia della Crusca, ove si parla di un “biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d’uovo”, mentre la prima ricetta risale ad un secolo dopo, riportata in un manoscritto redatto da Amadio Baldanzi, cittadino di Prato.

Nel diciannovesimo secolo, Antonio Mattei, pasticciere di Prato ben noto a Pellegrino Artusi recuperò la ricetta, rivisitandola e codificando di fatto la ricetta tradizionale. I cantucci furono presentati all’esposizione universale di Parigi nel 1867, dallo stesso Mattei, dove ebbero numerosi riconoscimenti.

La versatilità della ricetta, ha prodotto negli anni numerose varianti della ricetta, dolci e salate. Vi proponiamo una ricetta che, come vorrebbe la tradizione, contiene una piccola quantità di pinoli e non contiene burro; l’uso moderno prevede di aggiungere burro (50g per le dosi consigliate) e di utilizzare solo mandorle non pelate.

Ingredienti (per 6-8 persone)

250 g di farina 00
200 g di zucchero a velo
1 uovo intero e 3 tuorli
4 g di lievito per dolci
100 g di mandorle 
40 g di pinoli

Procedimento

Fate tostare mandorle e pinoli in forno caldo a 200 °C per 5 minuti.

In una ciotola capiente, mescolate la farina, lo zucchero e il lievito. Aggiungete l’uovo e i tuorli e iniziate a impastare. Incorporate in modo omogeneo le mandorle e i pinoli tostati. Lasciate riposare l’impasto in frigorifero per 15 minuti.

Formate ora due “salsicciotti” di circa 30cm di lunghezza. Cuocete in forno caldo a 200 °C per 15-20 minuti. Estraete quindi dal forno e lasciate riposare per 10 minuti. Tagliate obliquamente ricavando dei cantucci dello spessore di circa 15mm e della lunghezza di 5-6cm. Riponete in forno ventilato a completare la cottura a 120 °C per 45-50 minuti, fino a quando i biscotti saranno ben dorati.

Lasciate raffreddare e servite con vin Santo.

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Il Datterino di Artusi – Pizza di Pasqua (crescia al formaggio)

La crescia al formaggio (conosciuta anche come pizza di Pasqua) è un tipico piatto pasquale diffuso soprattutto nelle Marche e in Umbria. Si tratta di una soffice torta salata di pasta lievitata arricchita con uova e formaggi (Parmigiano Reggiano, Pecorino) servita come accompagnamento ai salumi nella tradizionale colazione salata del giorno di Pasqua, o durante il pranzo della festa.

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Diffusa tutto l’anno in una versione più bassa e larga, detta ciaccia o torta al testo, dal nome del contenitore in cui viene cotta, durante le feste pasquali diventa più alta e soffice; la si prepara tradizionalmente il Venerdì Santo e la si lascia riposare fino a quando le campane della domenica non risuonano a festa. In passato, ogni famiglia prenotava in tempo utile il proprio turno al forno il Giovedì o il Venerdì Santo per poter cuocere la pizza di Pasqua e portava poi la crescia in chiesa il giorno di Pasqua per la benedizione.

Il termine si riferisce probabilmente alla crescita dell’impasto che avviene in forno ed è un nome comune che si riferisce anche ad altri prodotti da forno lievitati.

Le origini della pizza di Pasqua sono molto antiche, affondano le radici nel Medioevo; si narra che per prime furono le monache del monastero anconetano di Santa Maria Maddalena a prepararla. La ricetta venne codificata più tardi e la prima traccia scritta risale ad alcuni ricettari di monastero del XIX secolo; le dosi (per molte cresce) venivano riportate a quaranta uova (in riferimento ai quaranta giorni di Quaresima), come simbolo della ricompensa pasquale alla penitenza quaresimale.

Potete servirla ai vostri ospiti come accompagnamento ai salumi o semplicemente come sfiziosità nel cestino del pane. Se preferite una consistenza più soffice e un’occhiellatura più fine, potete utilizzare metà o un terzo del lievito di birra ed allungare i tempi di lievitazione (2-4 ore).

 

Ingredienti

250 g di farina 00 (W170)
250 g di farina manitoba (W350)
25 g di lievito di birra
150 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
100 g di pecorino grattugiato
100 g di pecorino morbido a cubetti
5 uova
150 ml di latte
130 ml di olio extravergine d'oliva
mezzo cucchiaino di sale
un pizzico di pepe nero
un cucchiaino di zucchero
2 cucchiai di burro fuso

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Procedimento

Sciogliete il lievito in qualche cucchiaio di latte tiepido con il cucchiaino di zucchero.

In una ciotola capiente mescolate le farine, il parmigiano e il pecorino grattugiato, il pepe e il sale. Aggiungete tutto il latte e il lievito e iniziare ad impastare.

Aggiungete quindi al composto le uova (incorporandone una alla volta) e l’olio a filo e continuate ad impastare per 10-12 minuti (o almeno 20 minuti se impastate a mano).

Lasciate lievitare a temperatura ambiente per circa 20 minuti. Rompete la lievitazione reimpastando velocemente e incorporate i cubetti di formaggio.

Traferite il composto in uno stampo da forno rotondo a bordi alti (circa 20 cm di diametro e 10 cm di altezza), imburrato e infarinato. Lasciate lievitare a temperatura ambiente fino a quando l’impasto non sarà appena sotto i bordi dello stampo (circa un’ora).

Bucherellate con uno stecchino in modo uniforme, spennellate la superficie con il burro fuso e infornate in forno caldo a 160 °C, per circa 60-70 minuti; se tende a cuocere troppo in superficie, coprite con un doppio foglio di alluminio per alimenti (non prima che siano trascorsi 45 minuti di cottura o potrebbe perdere volume). Al termine della cottura, la crescia dovrà avere un bel colore dorato.

 

Il Datterino di Artusi – Pastiera napoletana

“Màngiat sta pastiera, e ncopp’ a posta
dimme cumm’era: aspetto ‘na risposta.
Che sarà certamente “Oj mamma mia!
Chest nunn’è nu dolce: è ‘na poesia!”

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La leggenda narra che la sirena Partenope, incantata dalla meraviglia del golfo di Napoli, tra Prosillipo e il Vesuvio, avesse deciso di vivere lì per sempre. In primavera la mitologica creatura emergeva dalle acque per rendere omaggio alla popolazione che abitava il golfo con meravigliosi canti d’amore.

Tanto erano emozionanti le sue note, che la popolazione, colma di gratitudine, incaricò sette fanciulle del villaggio di recarle i doni più preziosi della terra: la farina, simbolo di prosperità; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, simbolo di vita e rinascita; il grano cotto nel latte, simbolo del lavoro dei campi; l’acqua di fiori d’arancio, simbolo di grazia e di nobiltà; le spezie, per ricordare i popoli del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l’indescrivibile dolcezza del canto del mito di Partenope.

La bellissima sirena, compiaciuta del dono, fece ritorno alla sua dimora e con l’aiuto dell’opera degli dei, inebriati dai piacevoli sapori, unì il tutto e nacque la prima pastiera.

Più probabilmente il dolce nacque nei conventi di Napoli intorno al XVI secolo; la storia della pastiera è particolarmente legata a quella del convento di San Gregorio Armeno. Le suore del convento erano abilissime nella preparazione delle pastiere che poi venivano donate alle famiglie aristocratiche durante le festività pasquali.

La pastiera napoletana, che va preparata in anticipo, riconosce oggi molte varianti; nel salernitano è diffuso l’uso del riso al posto del grano e il ripieno può essere più o meno dolce, più o meno ricco di canditi e insaporito con cannella; talvolta si aggiungono gocce di cioccolato. Il grano viene da alcuni parzialmente frullato per una consistenza più cremosa. La frolla è tradizionalmente impastata con lo strutto che garantisce una maggior consistenza e croccantezza dell’involucro, ma potete usare anche il burro per una frolla più tradizionale (in questo caso la pastiera tenderà ad ammorbidirsi e andrà consumata entro 24 ore dalla cottura).

Perché non stupire parenti e amici con un dono speciale? Una pastiera fatta in casa sarà sicuramente un graditissimo regalo per le prossime festività pasquali.

Ingredienti (per 2-3 pastiere) 

per la frolla
750g di farina 00
300 g di strutto
300 g zucchero
1 bustina di vanillina
4 uova
la scorza di un’arancia

per il ripieno
700 g di ricotta
400 g di zucchero
6 uova
500 g di grano cotto
80 ml di acqua di fiori d’arancio
150 g di cedro candito e 50 g di arancia candita
200 ml di latte
30 g di burro
una scorza d’arancia
1 pizzico di cannella 

per guarnire
zucchero a velo 

Procedimento

Iniziate preparando la pasta per l’involucro della pastiera. Impastate velocemente le uova con lo zucchero, la farina, lo strutto, la scorza d’arancia e la vanillina. Avvolgete con una pellicola e lasciate riposare in frigorifero per almeno 30 minuti.

Intanto preparate il ripieno. In un pentolino cuocete il grano con il burro, il latte e una scorza di arancia. Portare ad ebollizione e lasciare sobbollire a fuoco dolce per 10-15 minuti, fino a quando il latte sarà stato assorbito. Rimuovere la scorza d’arancia e lasciate raffreddare.

A parte miscelate le uova con lo zucchero e la cannella, incorporate quindi la ricotta setacciata, l’acqua di fiori d’arancio, i canditi e il grano.

Dividete l’impasto in tre parti e stendetene due fino a uno spessore di 5-6mm e rivestite due “ruoti” da pastiera. Riempite con la farcia fino a qualche millimetro al di sotto del bordo. Stendete la terza parte d’impasto e ricavatene delle listarelle; disponetene 4-5 parallele tra loro e altre 4-5 in diagonale, sempre parallele tra loro, a formare dei rombi.

Cuocete le pastiere in forno caldo ventilato a 160 °C per 80-90 minuti. Lsciate raffreddare. Spolverate di zucchero a velo e servite.

 

 

 

 

 

 

Il Datterino di Artusi – Risotto alla zucca

Il risotto con la zucca è un tipico piatto della tradizione gastronomica regionale italiana, diffusissimo nella pianura padana. Si tratta di un piatto molto semplice ma estremamente gustoso e dal sapore schietto e genuino; una vera prelibatezza con cui farete sempre un’ottima figura con i vostri ospiti.

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Le zucche migliori per il risotto sono quelle gialle a polpa densa e poco fibrosa, come la zucca “cappello da prete”, tipica del mantovano o la “marina di Chioggia”.

La zucca deve essere cotta prima di essere incorporata al riso in cottura e su questo procedimento esistono alcune varianti; si possono lasciar sobbollire i tocchetti di zucca nel brodo e poi incorporarli nel riso, passare i tocchetti in forno per 10-15 minuti o anche pre-cuocere la zucca in microonde. Noi abbiamo preferito iniziare la cottura della zucca in padella e tostare il riso separatamente per evitare una tostatura morbida e sgranata, come può accadere quando si tosta il riso in un composto molto umido.

Per sfumare, e come abbinamento per questo risotto, suggeriamo un vino aromatico e persistente, come ad esempio un Cortese di Gavi o un Traminer aromatico.

Ingredienti (per 6 persone)

400 g di polpa di zucca gialla a tocchetti
400 g di riso carnaroli
1 cipolla bionda 
brodo vegetale
alcune foglie di maggiorana
200 ml di vino bianco
150 g di parmigiano grattugiato
80 g di burro
sale

 

Procedimento

Portate a bollore il brodo vegetale e lasciate sobbollire a fuoco dolce.

Tritate la cipolla. In una padella lasciate appassire la cipolla in olio d’oliva; aggiungete quindi la zucca a tocchetti, due prese di sale e qualche fogliolina di maggiorana fresca. Proseguite la cottura a fuoco dolce per 10-12 minuti (potete aggiungere qualche cucchiaio di brodo se necessario).

Riscaldate a fuoco vivace una casseruola dai bordi alti; versatevi il riso e rimestando continuamente fate tostare fino a quando non sentirete un profumo intenso di cereali. Aggiungete il vino, rimestate velocemente e lasciate evaporare. Incorporate la zucca cotta e tre mestoli abbondanti di brodo vegetale. Proseguite la cottura del riso, aggiungendo il brodo all’occorrenza, per 14 minuti esatti dal momento in cui avrete sfumato con il vino. Non aggiungete brodo negli ultimi due minuti di cottura.

Trascorsi i 14 minuti, togliete la casseruola dal fuoco, incorporate il burro e il parmigiano e mantecate per 3 minuti. Servite su un piatto da portata con alcune foglioline di maggiorana fresca.

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Il Datterino di Artusi – Torta Pasqualina

Tipica ricetta genovese, la torta pasqualina è una specialità tipica del periodo pasquale. Si tratta di una torta salata che profuma di primavera, ripiena di bietole o borragine, uova e formaggio e insaporita con maggiorana fresca.

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La sfoglia della torta pasqualina viene fatta stendendo sottilissimi dischi di un impasto semplice di farina, acqua e olio e creando la caratteristica sfogliatura con una pennellata d’olio tra i singoli dischi di pasta. Nelle ricette tradizionali, si tramanda che i dischi di pasta debbano essere esattamente trentatré, come gli anni di Cristo. Le uova sono anche un simbolo della vita che rinasce.

L’uso delle erbette, della prescinseua (una cagliata tipicamente ligure) o della ricotta e di molte uova, lo rendono un piatto ricco, ottimo da condividere in un giorno di festa, per esempio durante il pranzo pasquale o del Lunedì di Pasqua.

La torta è citata già da Ortensio Lando, letterato del XVI secolo, che la chiama “gattafura” (letteralmente “rubata dai gatti”), spiegando che le gatte ne erano ghiotte e la rubavano volentieri, ma la sua esistenza è probabilmente molto più antica.

Vi consigliamo di prepararla il giorno prima e di servirla fredda, magari porzionata per un bel picnic di Pasquetta (se non piove!).

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Ingredienti

per la sfoglia
300 g di farina “00” a media forza
8 cucchiai d’olio extravergine di oliva
160 g di acqua
olio per ungere le sfoglie

per il ripieno
1 kg di bietole lessate
300 g di ricotta vaccina (o se l’avete, prescinseua)
120 g di parmigiano reggiano
8 uova
1 cipolla
1 scalogno
3 spicchi d’aglio
1 ciuffo di prezzemolo
una manciata di foglioline di maggiorana
sale, pepe bianco qb

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Procedimento

Iniziate con la preparazione dell’impasto per la sfoglia. Con la farina a fontana, unite l’olio e l’acqua e impastante fino ad ottenere un panetto sodo ed elastico (potete utilizzare il gancio impastatore di una planetaria a bassa velocità). Coprite con una pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente per 20-30 minuti, in modo da lasciare sviluppare bene la maglia glutinica della pasta.

Fate un trito di cipolla e scalogno e lasciate dorare in padella con olio d’oliva. Fate un battuto di aglio e prezzemolo.

Miscelate ora gli ingredienti del ripieno: le bietole lessate, tre uova intere, la ricotta, il parmigiano, la maggiorana, la cipolla imbiondita, il trito di prezzemolo e aglio e le foglioline di maggiorana. Salate con 4-5 prese di sale e aggiungete una spolverata di pepe bianco. Tenete da parte.

Riprendete ora il panetto di impasto. Dividetelo in 6 parti uguali. Ungete una teglia da forno a bordi alti (meglio se con anello rimovibile) con olio vegetale spray o imburratela.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAStendete il primo panetto in un disco sottilissimo di diametro maggiore rispetto a quello della teglia di almeno 10cm. Rivestite la teglia con il disco di pasta. Spennellate tutto il disco con olio d’oliva. Stendete ora il secondo e il terzo disco e ripetete il procedimento. Stendete ora il quarto disco, riponetelo sugli altri e non ungetelo. Aggiungete quindi il ripieno. Con un cucchiaio (o, se avete da parte un uovo sodo), create cinque fossette nel ripieno; in ognuna di queste, versate un uovo intero, facendo attenzione a non romperne il tuorlo. Un pizzico di sale e pepe su ogni uovo. Con gli altri due panetti create altri due dischi, più piccoli (di diametro appena maggiore rispetto a quello della teglia); riponete il primo a ricoprire il ripieno; pennellate d’olio. Aggiungete quindi il secondo e ultimo disco. Sigillate i bordi con le dita e ripiegate dall’esterno all’interno l’eccesso di pasta dei dischi sovrapposti, in modo da creare una festonatura al bordo della torta. Spennellate d’olio.

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Infornate in forno ventilato a 160 °C per 60-70 minuti. Spegnete quindi il forno e lasciate all’interno per almeno 20 minuti prima di aprirlo. Lasciate quindi raffreddare a temperatura ambiente. La torta si può conservare in frigorifero per 2-3 giorni.

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Il Datterino di Artusi – Polpo in purea di fave

Un piatto della tradizione pugliese che lega la terra al mare; le fave abbondano nella zona di Carpino, nel foggiano e i piatti della tradizione contadina pugliese e salentina lo hanno consacrato quale ingrediente versatile e dalle ricchissime proprietà nutrizionali. La purea di fave, in particolare, normalmente associata alla cicoria nella gastronomia pugliese, è una preparazione che si presta ad esaltare sia piatti vegetali che di carne o pesce ed è ottima anche come contorno.

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Ingredienti (per 6-8 persone)

per la purea di fave
500 g di fave secche (e la loro acqua di ammollo)
2 scalogni
1 costa di sedano
80 mL di olio extravergine di oliva (e un po’ per il soffritto)
sale qb

per la cottura del polpo
1,5 kg di polpi già puliti
1 limone

per guarnire
40 g di crostini di segale o pan grattato
la scorza di mezzo limone
1 ciuffo di prezzemolo
2 spicchi d’aglio
un pizzico di sale
capperi

Procedimento

La sera precedente mettete in ammollo le fave in una ciotola capiente, lasciando che l’acqua le ricopra per almeno un paio di centimetri.

Cuocete il polpo. In una pentola capiente, portate a bollore l’acqua con il limone diviso in quattro quarti. Ad ebollizione, immergete quindi i polpi e coprite la pentola. Lasciateli lessare a fuoco dolce per circa 30 minuti, spegnete quindi il fuoco e lasciate ammollo per altri 20 minuti a fuoco spento.

In un mixer tritate i crostini di segale, la scorza di limone, il ciuffo di prezzemolo e i due spicchi d’aglio fino ad ottenere un trito fino ed omogeneo. Riponete in forno caldo spento a 150 °C per 15 minuti.

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Preparate la purea di fave. Fate un trito con lo scalogno e il sedano e lasciate appassire a fuoco dolce con un filo di olio di oliva. Intanto portate ad ebollizione l’acqua di ammollo delle fave. Unite al soffritto le fave ammollate e lasciate insaporire per qualche minuto. Aggiungete una presa di sale e tutta l’acqua d’ammollo. Lasciate cuocere per circa 30 minuti. Togliete dal fuoco la crema di fave e frullatela con un frullatore ad immersione; ottenuta una consistenza vellutata, aggiungete a filo l’olio d’oliva e montate per 4-5 minuti. Aggiustate di sale.

OLYMPUS DIGITAL CAMERADal polpo ricavate i tentacoli e passateli rapidamente su una griglia rovente con un filo d’olio.

Componete ora il piatto. Create una base con la purea di fave e disponetevi al centro i tentatoli del polpo. Guarnite con una spolverata di pane grattugiato insaporito e capperi.

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Il Datterino di Artusi – Friciò piemontesi (frittelle di Carnevale)

I friciò o farciò o farciö, sono un tipico dolce piemontese di Carnevale. Simili ad altre frittelle dolci della tradizione regionale, presentano però una consistenza molto soffice e leggera che li contraddistingue. Questa caratteristica si deve innanzi tutto all’impasto, che è quello classico della pasta choux e dei bigné, con la caratteristica di gonfiarsi molto in cottura.

La ricetta è quella di mia nonna, Sestilia, che quando ero piccolo li faceva tutti gli anni per tutta la famiglia, zii e cugini e preparava gli impasti per una discreta quota di famiglie del paese, riscuotendo sempre un grande successo.

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Ingredienti (per 8-12 persone)

500 g di acqua
200 g di latte
450 g farina "00" (W170)
50 g di burro
50 g di zucchero
1 bustina di aroma vaniglia
8 g di lievito chimico per dolci
50 g di grappa
6 uova
2 g di bicarbonato di sodio
un pizzico di sale
la scorza grattugiata di un limone

olio di semi per friggere

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Procedimento

Preparate dapprima la polenta da choux. Versare in una casseruola dai bordi alti il latte con l’acqua e il burro e portare ad ebollizione. Trasferite quindi nella planetaria, versate sul composto tutta la farina ed iniziate ad impastare con il gancio a foglia a bassa velocità fino ad ottenere una pasta liscia ed omogenea. Lasciate quindi raffreddare per almeno 20 minuti.

Azionate quindi nuovamente la planetaria e, a velocità moderata, iniziate ad aggiungere le uova, uno alla volta, mettendo il successivo solo quando il precedente sia stato ben incorporato. Aggiungete quindi tutti gli altri ingredienti (zucchero, scorza di limone, lievito, bicarbonato, sale, grappa e aroma vaniglia) e impastate ancora per 3-5 minuti.

La pasta è ora pronta e potete conservarla per max 24 ore in frigorifero fino al momento di friggerla.

Riscaldate abbondante olio di semi in una casseruola dai bordi alti e portate a 160°C (se potete, misurate la temperatura con un termometro da cucina).

Aiutandovi con due cucchiaini, raccogliete un po’ di impasto nel cucchiaino nella mano sinistra e con il dorso dell’altro cucchiaino e con la mano destra, staccate un quantitativo di impasto pari a circa 2/3 del cucchiaino e tuffatelo nell’olio caldo (raccogliete un cucchiaino di impasto per ogni frittella, utilizzandone solo una parte).

I friciò acquisiranno rapidamente un bel colore dorato e ad un certo punto inizieranno a capovolgersi ruotando su sé stessi. Lasciate rigirare un paio di volte (andranno fritti per alcuni minuti) e scolateli quando saranno di un colore ambrato ed omogeneo e ben gonfi.

Scolateli quindi in un contenitore rivestito di carta da cucina e spolverate con abbondante zucchero semolato. Servite dopo 5-10 minuti, ancora caldi.

Il Datterino di Artusi – Sformato di porri e feta

Lo sformato di porri e feta è un antipasto dal gusto dolce e delicato che può essere servito tiepido con una fonduta di parmigiano. Ideale in un pranzo a buffet, potete anche servirlo in cocotte monoporzione.

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Ingredienti (per 6-8 persone)

2 porri mondati
2 zucchine
200 g di feta
4 uova
50 g di burro
100 g di latte
50 g di parmigiano reggiano
noce moscata q.b.
sale e pepe q.b.

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Procedimento

Affettare i porri e le zucchine a rondelle. Appassire in padella con il burro e un pizzico di sale, fino a imbiondirli.

Tagliare grossolanamente la feta a pezzettoni e frullarla in un mixer con il latte e una grattugiata di noce moscata fino ad ottenere un composto spumoso.

Preriscaldare il forno statico a 150 °C.

Separare i tuorli dagli albumi. Montare gli albumi a neve con un pizzico di sale.

Sbattere i tuorli velocemente e aggiungere il composto di feta frullata e il parmigiano. Mescolare gli ingredienti. Aggiungere quindi le verdure appassite. Amalgamare gli ingredienti e aggiustare di sale e pepe. Aggiungere gli albumi montati a neve poco per volta, mescolando e incorporando dal basso verso l’alto, fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso.

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Imburrare uno stampo da savarin e versare il composto nello stampo. Infornare a 150 °C per 45 minuti, fino a quando in superficie si formerà una crosticina dorate.

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Lasciate raffreddare in forno spento e sformate tiepido su un piatto da portata. Potete servire “glassato” con una fonduta di parmigiano.

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Il Datterino di Artusi – Culurgiones

I culurgiones di patate, pecorino e menta sono la più diffusa versione (quella ogliastrina della Sardegna orientale) della tipica pasta ripiena sarda. Dal gusto molto delicato e Mediterraneo, vi conquisteranno da subito; dal 2015 i culurgiones di Ogliastra sono prodotto IGP.

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E’ discussa l’etimologia del nome. Alcuni lo fanno risalire a culleus, che significa sacchetto di cuoio, mentre altri a cuna, che vuol dire culla, entrambi con riferimento alla forma singolare di questa tipologia di pasta.

Molteplici sono anche la varianti del piatto nelle varie provincie della Sardegna.

I culurgiones di patate, pecorino e menta preparati con pasta fresca di grano duro e acqua sono la principale variante della zona dell’Ogliastra. Nel paese di Ulassai al posto del pecorino si mette “su fiscidu” un particolare formaggio acido messo in salamoia. Altri sono farciti, soprattutto nella Sardegna meridionale, con formaggio e verdure (bietole) oppure con solo formaggio (pecorino o ricotta); più raramente compare nel ripieno la pezza, ossia la carne, quasi sempre di maiale o di agnello.

Una particolarità dei culurgiones è rappresentata dalla chiusura della pasta a spighitta la tipica chiusura dei culurgiònis, rappresenta il simbolo del grano per propiziare la nuova annata agraria a fine agosto. A Baunei, invece, non hanno la forma classica con la chiusura a spiga. Hanno invece una forma simile a quella dei classici ravioli, ma a differenza di questi ultimi sono molto più grandi.

Sino agli anni Sessanta, soprattutto nel paese di Ulassai, la tradizione voleva che i Culurgiones venissero consumati solo ed esclusivamente il giorno dei morti, “sa di e ir mortos”.

Vengono oggi preparati tutto l’anno, conditi con sugo di pomodoro o anche burro e formaggio.

 

Ingredienti (per 4-6 persone)

per il ripieno
1 kg di patate rosse, lessate con la buccia
30 piccole foglie di menta
1 spicchio di aglio
300 g di pecorino sardo grattugiato
50 ml di olio extravergine di oliva

per la pasta
500 g di semola di grano duro
200 ml di acqua
1 cucchiaino di sale

Procedimento

Per il ripieno

Il giorno prima, preparate il ripieno. Pelate le patate, già lessate, e schiacciatele grossolanamente con una forchetta. Tritate finemente la menta e l’aglio e grattugiate il pecorino. Impastate le patate con il pecorino, il trito aromatico e l’olio. Aggiustate di sale e lasciare riposare in frigo per una notte.

Per l’impasto

Aggiungere un cucchiaino di sale all’acqua e impastare con la semola fino ad ottenere un impasto consistente ed elastico. Lasciate riposare per 30 minuti.

Tirate ora la pasta a mano o con una macchina sfogliatrice. Stesa la sfoglia, ottenete dei dischi di circa 7cm di diametro e riempiteli con una quenelle di ripieno. Chiudete ora i culurgiones a spiga, secondo il procedimento classico che prevede di pizzicare uno dei margini e proseguire pizzicando la pasta a zig-zag fino ad arrivare all’estremità superiore.

Lasciateli riposare su un piatto spolverato di semola per circa un’ora. Cuoceteli quindi in abbondante acqua salata. Colateli quando verranno a galla e conditeli con sugo di pomodoro al basilico e pecorino grattugiato. Decorate con qualche fogliolina di menta.

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