Il Datterino di Artusi – Agnolotti alla Piemontese

Tipico piatto della tradizione culinaria piemontese, gli agnolotti sono una pasta ripiena dalla caratteristica forma quadrata; il ripieno è composto di carne di brasato o di stufato, formaggio, uova e di solito anche una piccola quantità di verdure cotte.

Sono un ricco piatto delle feste e possono essere serviti con il sugo di brasato, come vuole la tradizione, ma sono ottimi anche tuffati nel burro aromatizzato con salvia e aglio o serviti nella scodellina con il vino rosso, come anticamente si usava assaggiarne la cottura nelle antiche osterie.

La preparazione è piuttosto lunga, ma non particolarmente complessa. Si inizia il giorno prima con la cottura del brasato o dello stufato. La differenza è semplicemente legata alla rosolatura della carne, che nel brasato avviene prima della cottura nei liquidi, mentre nel caso dello stufato si cuociono tutti gli ingredienti da freddi.

Per preparare il classico brasato in questo contesto vi consigliamo un Barbera di buona qualità; iniziate da due pezzi di manzo (cappello del prete, fesa di sottospalla) di circa un chilogrammo l’uno: uno dei due servirà per il ripieno e il sugo, mentre l’altro potrete servirlo come secondo piatto.

Alla sera, mettete a marinare i tagli di carne con il vino (ne è sufficiente una bottiglia da 750mL, ma abbiate l’accortezza di immergere completamente la carne nel liquido), 4-5 carote, due cipolle bianche, 4-5 spicchi d’aglio, due coste di sedano al cuore. Le verdure dovranno essere tagliate a pezzettoni grossolani. Aggiungete le spezie, a piacere: rosmarino, alloro, ginepro, bacche di pepe nero, qualche foglia di salvia; irrinunciabili una decina di chiodi di garofano, una piccola stecca di cannella, una grattugiata generosa di noce moscata.

Lasciate marinare la carne in frigorifero fino alla mattina successiva.

Per lo stufato, trasferite tutto in una casseruola capiente (ad esempio di ghisa) e iniziate la cottura a fuoco vivace, fino a quando l’alcol sarà completamente evaporato, coprite e proseguite poi la cottura a bassissima fiamma, come descritto per il procedimento del brasato.

Per il brasato invece estraete i pezzi di carne dalla marinatura e asciugateli con un panno da cucina. Nel frattempo mettete sul fuoco la marinatura con tutti gli aromi e le verdure e portate ad ebollizione, lasciando quindi evaporare l’alcol per qualche minuto.

Preparate la casseruola di ghisa per la cottura, accendete il fuoco e scioglietevi una grossa noce di burro (meglio se chiarificato) e due cucchiai d’olio d’oliva. Fate ora rosolare la carne accuratamente su tutti i lati per qualche minuto. Aggiungete quindi a poco a poco aiutandovi con un mestolo il vino in ebollizione (è importante che non sia freddo) e le verdure e le spezie della marinatura. Aggiungete 4-5 generose prese di sale e abbassate la fiamma al minimo. Coprite e lasciate cuocere per almeno 4 ore, avendo cura di capovolgere i pezzi di carne a metà cottura.

Completata la cottura, estraete momentaneamente la carne e rimuovete dal sugo di cottura l’alloro, il rametto di rosmarino e la stecca di cannella. Frullate il sugo, ottenendo una crema più densa. Rimettete quindi nel sugo la carne. Potrete eventualmente ridurre ulteriormente il sugo in seguito, un paio d’ore prima di servire il brasato.

Procediamo ora con il ripieno.

Dosi abbondanti per 6 persone: 500 g di brasato (solo la carne), 150 g di spinaci lessati (facoltativo), 150 g di parmigiano grattugiato, 3 uova (valutare in base alla consistenza del ripieno), noce moscata, pepe bianco, sale.

Tritate la carne finemente, aggiungete le uova, il parmigiano e le spezie; a piacere potete ammorbidire e alleggerire un po’ il ripieno con degli spinaci lessati frullati. Lasciate riposare il ripieno in frigorifero per almeno un paio d’ore.

Prepariamo ora la pasta all’uovo.

600 g di farina 00 e 6 uova intere, una presa di sale. Impastate sulla spianatoia con la farina a fontana e una volta pronto il panetto, tenetelo da parte avvolto nella pellicola fino al momento di stendere la pasta.

Potete ora utilizzare una macchina per la pasta e un impasto per agnolotti (la forma di questa pasta ripiena è tipica e troverete in commercio stampi appositi). Lo spessore della pasta non dovrà essere troppo sottile e dopo la cottura dovranno risultare ancora callosi ed il ripieno bello sodo. Lo stampo dovrà essere infarinato con un misto di semola e farina ad ogni passaggio.

Tirate la pasta e disponetela sullo stampo; distribuite il ripieno con due cucchiaini sulla sfoglia e ricoprite con un foglio di pasta. Potete saldare gli agnolotti passando un matterello sullo stampo, facendo attenzione a non rompere l’involucro. Rivoltate quindi lo stampo sulla spianatoia e rifinite con una rotella dentata. Riponete gli agnolotti su un piatto infarinato con semola di grano duro e tenete da parte fino al momento della cottura.

Procedete completando tutta la pasta e tutto il ripieno.

Al momento della cottura, tuffateli in abbondante acqua salata in ebollizione a cui avrete aggiunto due cucchiai di olio d’oliva e cuocete per 3-4 minuti fino a consistenza desiderata.

Come abbiamo accennato, gli agnolotti possono essere conditi in molti modi. Qui vi suggeriamo i tre condimenti più classici della tradizione piemontese.

Al vino.

In alcune zone del monferrato è tradizione servire gli agnolotti in una coppetta di Barbera. Si tratta di una consuetudine ormai in disuso ma che si mantiene nel rito dell’assaggio: dopo un minuto circa di cottura, potete servire ad ogni commensale mezza dozzina di agnolotti nel vino; è così che i nostri nonni, di solito il padrone di casa, attestava la bontà della preparazione prima che fosse servita agli ospiti… il vino deve essere a temperatura ambiente.

Al burro e salvia.

Ottimo condimento per esaltare la qualità del ripieno. Fate sciogliere in un pentolino 25g di burro per ogni commensale insieme a 5-10 foglie di salvia intere e uno spicchio d’aglio. Servite poi con abbondante parmigiano.

Al sugo di brasato.

Questo è il tipico condimento delle feste, quando gli agnolotti vengono prodotti a partire da brasato o stufato di ottima qualità e cotto alla perfezione. Tenete da parte un mestolo di sugo del brasato per ogni commensale e trasferitelo in una casseruola insieme a circa 100 g di carne sfilacciata (dovreste avere così completato l’uso di uno dei due pezzi di carne), 50g di burro e un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Lasciate ridurre per 30-60 minuti sul fuoco. Condite gli agnolotti e serviteli con abbondante parmigiano.

Il brasato rimasto sarà un ottimo secondo, servito con crostoni di polenta, patate al forno al rosmarino o un puré di patate… ma se siete già sazi, sarà delizioso anche riscaldato per il giorno successivo! Basta che sulla vostra tavola non manchi una bottiglia di buon Barbera d’Asti!

Il Datterino di Artusi – Crostata di Ricotta e Visciole

La crostata di ricotta e visciole è un tipico dolce della tradizione giudaico romanesca. Il caratteristico sapore acidulo delle visciole è arricchito da uno strato di crema alla ricotta che la rende un dolce ricco e gustoso.

Esistono diverse ricette, ad esempio anche senza uso di latticini. Qui vi proponiamo quella di labna.it, caratterizzata da una frolla al burro molto ricca e dalla lunga cottura della crema.

Per la base di frolla:

Ingredienti per 6 persone

400 g di farina 00

200 g di zucchero

200 g di burro a temperatura ambiente

4 tuorli d’uovo

scorza di limone

Per il ripieno:

400 g di ricotta

120 g di zucchero

1 uovo per il ripieno

2 cucchiai di sambuca

1 vasetto di confettura di visciole (350g)

Procedimento

Preparate la pasta frolla. Rompete il burro ammorbidito a pezzetti nella farina e zucchero e iniziate a impastare con le mani. Aggiungete i tuorli e la scorza di limone e impastate fino ad ottenere un panetto liscio. Avvolgetelo nella piccola e lasciatelo riposare in frigorifero per almeno 30 minuti.

Preparate il ripieno mescolando la ricotta, l’uovo, lo zucchero e il liquore. Imburrate e infarinate una teglia a cerniera di 24 cm. Stendete la sfoglia in un disco spesso 5mm e rivestite la teglia. Bucherellate il fondo della crostata con una forchetta. Spalmate sul fondo della crostata la confettura e sopra di questo la crema di ricotta. Decorate la crostata con le classiche strisce di frolla e fate cuocere a forno caldo 174 C per circa un’ora.

Crostata con frolla ovis mollis

La frolla “ovis mollis” è un particolare impasto dalla spiccata friabilità che ben si adatta a biscotti e tartellette ma anche ad ottime crostate. La caratteristica di questo impasto è l’utilizzo dei tuorli d’uovo sodi e dell’amido di mais. Il risultato sarà una frolla estremamente friabile e più morbida.

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Ingredienti (per una crostata di 26-28cm)
200 g di farina 00
80 g di amido di mais
150 g di burro
100 g di zucchero a velo
120 g di tuorli d'uovo sodi (circa 8 tuorli d'uovo sodi)
un cucchiaio di grappa o rum
un pizzico di sale
un pizzico di vanillina
400g di confettura per farcire

Procedimento:

Fate cuocere le uova fino a renderle sode. Lasciatele quindi raffreddare ed estraetene i tuorli.

Setacciate la farina con lo zucchero a velo e l’amido di mais; aggiungete il pizzico di sale e la vanillina. Con le dita, incorporate velocemente il burro ammorbidito a pezzetti alla farina. Aggiungete quindi i tuorli freddi, setacciati e la grappa e impastate velocemente. Lasciate quindi riposare l’impasto della frolla, avvolto in una pellicola, per almeno un’ora in frigorifero.

Stendete quindi la frolla e farcite la crostata; decorate con striscioline di frolla.

Infornate in forno statico a 160° per un’ora. Servite spolverata di zucchero a velo.

Il Datterino di Artusi – Pizza

Il principio di questo impasto si basa su una lievitazione lunga di circa 8-10 ore, per cui è importante organizzarsi con un certo anticipo; il tempo sarà un ingrediente importante che, insieme ad una farina di buona qualità e ad un buon metodo di cottura renderà il risultato eccellente. Per cui non abbiate fretta.

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Se ad esempio avete in programma di cucinare le vostre pizze a cena, iniziate con l’impasto la mattina.

La cottura rappresenta un altro punto critico. Ovviamente, se siete tra i pochi fortunatissimi ad avere a casa un forno a legna con rivestimento in pietra, probabilmente non avrete bisogno di consigli; lo stesso dicasi per chi possiede un forno da pizza elettrico semiprofessionale con pietra refrattaria.

Ma si può ottenere un buon risultato anche nel forno elettrico di casa. Abbiamo sperimentato diversi metodi (e in effetti se fate un giro sul web trovate migliaia di consigli per ottenere una pizza a casa come quella in pizzeria) e in effetti il sistema combinato padella/grill ci sembra uno dei migliori.

La cottura è infatti il momento cruciale della preparazione e la miglior cottura per una pizza eccellente è quella ad alta temperatura (>300°) su pietra, in modo che il tempo di cottura possa essere molto breve (nelle condizioni ideali non più di 90 secondi) e che l’impasto mantenga un buona idratazione e non secchi troppo. I forni casalinghi raggiungono a malapena i 220-230° reali, quindi bisogna rimediare. Abbiamo provato per voi diverse cotture e supporti di cottura. Quello qui descritto vi darà davvero un risultato eccellente.

Ecco come l’abbiamo fatta a casa, ed ecco gli ingredienti e gli strumenti necessari.

Ingredienti (per ogni persona/pizza)

160 g di farina (W260-350 o Manitoba)
100 g di acqua (temperatura ambiente)
1 cucchiaino di olio
3 g di sale
0,5 g circa di lievito di birra fresco (la quantità circa
corrispondende al volume di mezzo chicco di riso)
farina di semola
farina 00

condimenti a piacere

vi serviranno per impasto e cottura:
- una ciotola in cui effettuare la prima lievitazione dell'impasto
- un contenitore di plastica a superficie piana e richiudibile
  dove far lievitare i panetti
- una padella antiaderente (meglio se con anima in ghisa)
  o pietra refrattaria

Procedimento.

Per prima costa impastate acqua, farina, lievito e olio. Se usate la planetaria, iniziate versando l’acqua e l’olio e poi la farina. Sbriciolate il pochissimo lievito nella farina. Iniziate ad impastare e solo dopo qualche minuto aggiungete il sale. Continuate ad impastare fino ad ottenere una consistenza morbida ed elastica ed una superficie liscia; anche per l’impasto occorre non avere fretta. A mano vi serviranno almeno venti minuti e con l’impastatrice una decina.

Lasciate lievitare tutto l’impasto, coperto da un canovaccio umido, per un’ora a temperatura ambiente, lontano da fonti luminose e di calore.

Riprendete quindi l’impasto (la lievitazione avrà solo avuto inizio, non noterete grosse differenze nel volume dell’impasto) e portatelo su una spianatoia infarinata. Reimpastatelo velocemente con pochissima farina. Dividetelo quindi nei panetti che serviranno poi per ogni pizza, ognuno dei quali avrà un peso di circa 260 grammi ed un aspetto tondo, compatto ed omogeneo ed una superficie liscia e senza crepe.

Riponete i singoli panetti in un contenitore di plastica, distanziati in modo da consentire la lievitazione. Chiudete il contenitore con il suo coperchio o con la pellicola in modo che risulti ben chiuso ma con lo spazio sufficiente per la lievitazione.

A questo punto riponete il contenitore o i contenitori lontano da luce e fonti di calore (a temperatura ambiente) e lasciate lievitare per 6-8 ore, fino al momento di stendere i vostri dischi di pasta.

Arrivato il momento di stendere le vostre pizze, accendete il forno statico a 250°C. Quando il termostato vi indicherà che il forno è a temperatura, accendete il grill. Mettete sul fornello la padella e accendete il gas. Al momento della cottura la superficie dovrà essere rovente e il forno ben caldo con la resistenza del grill accesa.

Aprite i contenitori di plastica e facendo attenzione a non far perdere ai panetti la loro lievitazione, rovesciateli a testa in giù sulla semola. Rigirateli una seconda volta e portateli quindi in una parte asciutta e pulita della spianatoia e iniziate a stenderli a disco (è ottima anche una superficie di marmo infarinata), come lo preferite, piccolo, grande, con o senza cornicione.

Trasferite quindi il disco sulla padella rovente, ancora sul fornello acceso e iniziate a condire la pizza (il tutto impiegherà circa un minuto). Trasferite quindi il tutto (padella compresa) nel forno appena sotto al grill, sempre acceso e con lo sportello aperto. Lasciate cuocere fino a quando il cornicione avrà un bell’aspetto dorato e la mozzarella sarà ben fusa; ci vorranno circa 3 minuti.

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Il Datterino di Artusi – Tiramisù

Il tiramisù è uno dei grandi dolci della cucina tradizionale italina. E’ un dolce goloso e semplice da realizzare, caratterizzato da quattro ingredienti principali: mascarpone, uova, savoiardi e caffè.

I termine tiramisù viene menzionato per la prima volta nell’edizione del 1980 del dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti. Pertanto, sembra una ricetta nata nella seconda metà del novecento del secolo scorso.

Nel 1981 l’enogastronomo Giuseppe Maffioli, firma della Cucina Italiana e fondatore della rivista Vin Veneto, realizza la prima identificazione storica della ricetta del tiramisù.

“Tutte le ricette suesposte appartengono a un repertorio più frequente nella cucina mitteleuropea di Trieste e tuttavia con stretta parentela con quella veneziana che per lungo tempo è stata influenzata dagli immigrati asburgici. È nato recentemente, poco più di due lustri orsono, un dessert nella città di Treviso, che fu proposto per la prima volta da un certo cuoco pasticcere di nome Loly Linguanotto, che, guarda caso, giungeva da recenti esperienze di lavoro in Germania.

Il dolce e il suo nome tiramisù, come cibo nutrientissimo e ristoratore, divennero immediatamente popolarissimi e ripresi, con assoluta fedeltà o con qualche variante, non solo nei ristoranti di Treviso e provincia, ma anche in tutto il grande Veneto ed oltre, in tutta Italia”

Lo Chef Linguanotto, ristorante Alle Beccherie di Treviso, afferma che la prima ricetta deriverebbe dallo “sbatutin”, un composto di tuorlo d’uovo sbattuti con lo zucchero.

Altri ristoranti di Treviso reclamano la paternità della ricetta. In particolare il ristorante “Al Camin”, che nella metà degli anni cinquanta prepara la “coppa imperiale”, realizzata con gli stessi ingredienti del tiramisù; successivamente chiamata “coppa imperiale Al Foghèr”, dall’omonimo albergo aperto dalla cuoca del Al Camin, Speranza Bon.

La lotta sulla paternità della ricetta travalica i confini della provincia di Treviso, ma anche quelli regionali del Veneto. Il Friuli Venezia Giulia, dopo anni di battiglie, riesce a far inserire il tiramisù nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT).

Secondo le ragioni del Friuli Venezia Giulia, la ricetta nasce in Carnia negli anni cianquanta all’Albergo Roma di Tolmezzo ad opera di Norma Pielli, che modifica la versione del Dolce Torino, presenta la numero 649 de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi.

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Come prova della veridicità di queste affermazioni sembrerebbere esistere una copia di un conto rilasciato dal ristorante nel 1959 e poi la citazione “par indolzi: di tirimi-su un pôc” (per dolce: un po’ di tirimi-su) in due cene del 1963 e ’65; in seguito sarebbe emersa anche la ricetta, scritta in data non precisata.

Nello stesso periodo la ricetta viene eseguita anche nel goriziano, a Pieris, come “Coppa Vetturino Tireme sù” presso il ristorante “Il Vetturino”.

Al di là delle dispute regionali sulle origini della ricetta, il tiramisù rimane un dolce nazionale che ormai hanno imparato ad apprezzare anche all’estero e di cui sono ormai note varianti anche celebri (per citarne alcune alla birra, alla frutta, al limone etc etc). La caratteristica che a nostro parere lo rende un dolce inconfondibile e sempre apprezzatissimo è il connubio tra la nota forte ed energizzante del caffè e la dolce cremosità della crema al mascarpone.

Dopo aver provato numerose note di gusto, vi proponiamo la nostra speciale versione del tiramisù, arricchita dal delicato sentore di mandorla e dal profumo del Grand Marniér.

Ingredienti (per 8 persone)
400 g biscotti savoiardi500 g di mascarpone
8-10 caffè lunghi (espresso o moka) 
12+1 cucchiai di zucchero semolato
5 cucchiai di mandorle dolci finemente tritate
5 uova 
50 mL di liquore Grand Marniér 
cacao amaro in polvere

Preparate i caffè e lasciateli raffreddare in una ciotola capiente.

Iniziate separando tuorli e albumi. Mettete i tuorli nella planetaria e avviatela. Intanto mettete lo zucchero semolato in un pentolino con 50mL di acqua e, sulla fiamma, portatelo ad una temperatura di 120 °C. Versatelo quindi a filo nella planetaria in movimento al fine di incorporarlo nei tuorli d’uovo che verranno così pastorizzati. Montate i tuorli alla massima velocità fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso. Aggiungete quindi il liquore e le mandorle tritate alla crema e incorporateli con la frusta. Incorporate il mascarpone con la frusta a velocità media, per non più di un minuto (se montate a lungo potreste ottenere burro e siero di latte).

Intanto a parte montate a neve gli albumi con un cucchiaio di zucchero. Incorporate gli albumi al composto di uova e mascarpone con una spatola da cucina e con movimenti circolari dal basso verso l’alto.

Iniziate a comporre il dolce in una pirofila rettangolare, alternando i biscotti, velocemente bagnati nel caffè, e la crema di mascarpone, creando due strati di biscotti. Terminate con abbondante crema e spolverate quindi con un velo compatto di cacao amaro.

Lasciate riposare in frigorifero per almeno 4-5 ore.

 

 

 

 

 

Il Datterino di Artusi – Krumiri

Dall’idea di Domenico Rossi nel 1878 nascono questi deliziosi biscotti piemontesi che fanno parte della tradizione della piccola pasticceria italiana e che pare siano un omaggio ai baffi “a manubrio del re Vittorio Emanuele II. L’impasto è a base di farina di grano tenero, uova, burro, zucchero. Alcune ricette familiari prevedono l’uso di farine diverse per rendere l’impasto più ruvido e “grezzo”, come la farina di mais, di semola di grano duro o di riso.

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Per prepararli in casa, se non avete un estrusore per biscotti, potete utilizzare una sac-a-poche con bocchetta grande a stella.

Ingredienti (per circa 30 biscotti)
100 g di farina di semola di grano duro
200 g di farina 00
15 g di miele
2 tuorli d'uovo
110 g di zucchero
un pizzico di lievito per dolci
un pizzico di sale
100 g di burro
50 g di latte

Procedimento

Montare il burro con lo zucchero e il miele. Aggiungere i tuorli stemperati nel latte e mano a mano le farine e il lievito. Impastate nella planetaria fino ad ottenere un impasto morbido.

Trasferire il composto in una sac-a-poche o nell’estrusore e stendere i biscotti su una placca da forno rivestita.

Cuocete in forno ventilato a 170°C per 10-12 minuti.

Potete conservare i krumiri per qualche giorno in una scatola di latta, in luogo fresco e asciutto. Sono ottimi per accompagnare il the, o come piccola pasticceria a fine pasto.

Il Datterino di Artusi – Rabaton

Tra le ricette tipiche della cucina piemontese, una delle meno diffuse, ma sicuramente più caratteristiche è quella dei rabaton, dei grossi “gnocchi” cilindrici a base di biete o spinaci e ricotta, caratterizzati da una doppia cottura con una croccante gratinatura al forno. I rabaton sono tipici della zona di Alessandria e il nome deriva probabilmente da “rabatàr”, in dialetto piemontese “arrotolare”.

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La tradizione vuole che si utilizzino erbette di campo o biete, ma anche spinaci ed erbe aromatiche come maggiorana, timo e salvia. Quest’ultima in particolare non deve mai mancare perché parte, insieme a burro e parmigiano, della gratinatura.

I rabaton possono essere preparati in anticipo, ma la doppia cottura deve essere eseguita appena prima di servirli; dopo averli formati e arrotolati in un velo di farina bianca, tuffateli nell’acqua o nel brodo vegetale fino a quando verranno a gala. Andranno quindi disposti in una pirofila e gratinati con burro, salvia e una generosa spolverata di parmigiano reggiano.

Sono un ottimo piatto per un pranzo domenicale in famiglia, una deliziosa alternativa ad una pasta ripiena o ai classici gnocchi. Si sposano meravigliosamente ai vini bianchi piemontesi del roero e monferrato (Cortese di Gavi, Roero Arneis).

Una curiosità: da oltre vent’anni questo piatto viene celebrato da una sagra annuale nel paese di Litta Parodi (AL), la prima settimana di settembre e dal 1999 esiste la Confraternita du Rabaton, per la tutela e la promozione del prodotto.

Ingredienti (per 4 persone)

500 g di biete già lessate
400 g di ricotta vaccine
150 g di parmigiano reggiano
3 uova
80 g di pane grattugiato
1 spicchio d'aglio
1 mazzetto di maggiorana
un ciuffo di salvia
noce moscata q.b.
sale e pepe nero

50 g di farina

per guarnire

60 g di burro
50 g di parmigiano reggiano
alcune foglie di salvia

Procedimento

Strizzate accuratamente con le mani le biete già lessate in acqua salata e fredde. Frullatele grossolanamente.

A parte grattugiate il pane secco con una decina di foglioline di salvia, uno spicchio d’aglio e un ciuffo di maggiorana, ottenendo una grana fine.

Amalgamate insieme le biete e la ricotta e incorporate le uova, il pangrattato, il parmigiano, la noce moscata. Aggiustate di sale e pepe.

Una volta ottenuto un composto omogeneo, create dei grossi gnocchi allungati con le mani e passateli nella farina, facendoli arrotolare. Procedete in questo modo fino ad esaurimento dell’impasto.

Sciogliete il burro in un pentolino e imburrate una pirofila da forno. Riscaldate il forno a 250 °C.

Portate a bollore una casseruola con abbondante acqua salata e un cucchiaio d’olio. Con l’aiuto di una schiumarola, tuffate gli gnocchi (4-5 alla volta) nell’acqua bollente e lasciateli cuocere fino a quando verranno a galla. Estraeteli quindi uno dopo l’altro e riponeteli in un unico strato nella pirofila da forno.

Spargete sui rabaton il burro fuso rimanente e il parmigiano reggiano. Distribuite qualche fogliolina di salvia e riponete in forno caldo a gratinare per 15 minuti. Servite caldi.

Il Datterino di Artusi – Zuppa inglese

Come utilizzare tutto l’alkermes della dispensa del Datterino? Non potevamo non proporvi un meraviglioso dessert al cucchiaio della tradizione italiana. La zuppa inglese, la cui origine è contesa tra l’Emilia, la Romagna e la Toscana, deriva probilmente da una rielaborazione del trifle inglese, un dolce a base di pasta dolce lievitata bagnata con sherry o rum, panna e frutta candita. La ricetta è stata poi rielaborata con l’aggiunta del pan di spagna e la sostituzione del rum con l’alkermes, liquore di produzione fiorentina molto in voga in epoca rinascimentale, che dona il caratteristico colore rosso; la crema pasticciera ha inoltre sostituito la panna e i frutti canditi della ricetta originale.

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Altre teorie vogliono che la zuppa inglese sia stata creata da un pasticciere romano che operava alla corte ducale di Parma, Vincenzo Agnoletti, all’inizio dell’800. La versione definitiva del dolce è comunque piuttosto recente, contenendo pan di spagna o savoiardi e crema pasticciera all’italiana. Le influenze che hanno contribuito alla nascita della zuppa inglese sono quindi diverse: il nome deriva probabilmente dall’iniziale uso del rum, liquore inglese, il pan di spagna è di origine ligure-francese e i savoiardi piemontesi; l’alkermes un prodotto tipicamente fiorentino. Il risultato è quindi un dolce tipicamente italiano, e che merita certamente un posto sul podio dei dolci al cucchiaio della nostra pasticceria nazionale.

Ne esistono oggi molte varianti, alcune che prevedono l’uso di una crema pasticciera al cacao, altre scaglie di cioccolato, altre frutta candita. Vi proponiamo una versione delicata della zuppa inglese, con una spolverata di cacao tra gli strati di crema e i savoiardi, che creano una consistenza più soda e che consente una bagnatura generosa.

 

Ingredienti (per 4 persone)

per la crema pasticciera
6 tuorli d’uovo
130 g di zucchero
45 g di amido di mais
700 mL di latte
aroma vaniglia

per la bagna all'alkermes
150 mL di acqua
1 cucchiaio di zucchero
150 mL di alkermes

per comporre il dolce
200 g di savoiardi
cacao amaro in polvere
zucchero a velo in polvere

Procedimento

Preparate la crema pasticciera.

Scegliete due casseruole per la cottura a bagnomaria; riponete l’acqua in quella più capiente e portate ad ebollizione. Nella casseruola più piccola sbattete i tuorli con lo zucchero e l’aroma vaniglia, fino ad ottenere un composto molto chiaro, soffice e spumoso.

Con un frullatore a immersione, frullate nel bicchiere l’amido di mais con 300mL di latte e incorporate quindi i restanti 400mL di latte.

Unite il latte alle uova, incorporando con la frusta. Cuocete a bagnomaria mantenendo l’acqua in ebollizione. Mescolate con un cucchiaio di legno durante la cottura, in modo che non si formino grumi nella crema; portate a bollore la crema e spegnete il fuoco. Continuate a mescolare fino a quando il composto non sarà addensato (la crema sarà pronta quando lasciando cadere il composto dal cucchiaio si potrà scrivere). Lasciate raffreddare completamente la crema (almeno 3 ore).

Preparate lo sciroppo; in un pentolino, sciogliete lo zucchero nell’acqua e portate ad ebollizione. Lasciate raffreddare. Aggiungete quindi l’alkermes.

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Quando la crema e la bagna saranno fredde, potrete comporre il dolce. Per dosare la crema vi consigliamo di usare una sac à poche. Stendete uno strato di crema su un piatto / pirofila. Coprite con uno strato di savoiardi bagnati nello sciroppo (immergeteli completamente per 2 secondi e lasciate colare l’eccesso), quindi un altro strato di crema.

Spolverate generosamente con cacao amaro. Continuate con un altro strato di savoiardi alternato ad uno strato di crema e procedete fino ad esaurimento degli ingredienti. Concludete con uno strato di crema. Riponete in frigorifero fino al momento di servire.

Spolverate con zucchero a velo bianco / rosa e servite.

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Il Datterino di Artusi – Pappa al pomodoro

Un piatto povero tipico della cucina toscana, divenuto famosissimo grazie alla canzone di Rita Pavone alias Gian Burrasca del 1964 che attribuisce alla pappa al pomodoro (e in senso lato alla cucina della tradizione) addirittura la virtù di sedare tumulti e insurrezioni popolari.

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Pappa al pomodoro – IlDatterino.com

 

Si tratta di un piatto semplice ma gustoso con protagonisti il pane sciocco (senza sale), il pomodoro e l’olio extravergine d’oliva toscano, cotti lentamente fino a divenire una “pappa”.

Generalmente insaporita da aglio e basilico, la pappa al pomodoro può prevedere in alcune zone l’aggiunta di cipolla e peperoncino.

Ve ne proponiamo una versione estiva, servita fredda con una crema di basilico. Per una ricetta vegana, potete sostituire la robiola con la stessa quantità di tofu.

Ingredienti (per 6 persone)

1L di brodo vegetale
800 g di polpa di pomodoro
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
300 g di pane toscano raffermo a fette
10 foglie di basilico
3 spicchi d'aglio rosso
olio EVO
sale, pepe nero

per la crema al basilico
200 g di robiola fresca
un mazzetto di basilico (25-30 foglie)
2 cucchiai di olio EVO

Procedimento

Portate ad ebollizione il brodo. Spegnete la fiamma ed immergetevi le fette di pane raffermo.

Intanto scaldate 5-6 cucchiai di olio d’oliva in una casseruola capiente e lasciate imbiondire l’aglio, tagliato grossolanamente. Aggiungete quindi la polpa e il concentrato di pomodoro e cuocete a fuoco vivace per 4-5 minuti.

Trasferite tutto il pane e il brodo nella casseruola con il pomodoro, con due prese di sale e il basilico tritato e un pizzico di pepe nero. Lasciate sobbollire a fuoco dolce per 45-50 minuti, mescolando di tanto in tanto.

Nel frattempo, preparate la crema al basilico. Frullate in un bicchiere la robiola con il basilico e l’olio, fino ad ottenere un composto fluido di colore verde pistacchio. Trasferite la crema in una sac-à-poche e lasciate riposare in frigorifero fino al momento di servire.

Una volta cotta la pappa, spegnete il fuoco e lasciate raffreddare a temperatura ambiente. Impiattate su un piatto piano da portata, condite con la salsa al basilico e guarnite con qualche fogliolina di basilico fresco.

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Pappa al pomodoro – IlDatterino.com

Il Datterino di Artusi – Pane frattau

Il pane carasau è uno degli ingredienti più tipici e conosciuti della gastronomia sarda. La sua storia è certamente legata alla pastorizia, le cui abitudini obbligavano i pastori a lunghi periodi lontano da casa e a consumare cibi che potessero conservarsi a lungo in assenza di sistemi di refrigerazione come appunto le sfoglie di pane carasau e il formaggio stagionato.

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Oltre che comprimario sulle tavole sarde, il pane carasau è protagonista di numerose ricette, per la sua versatilità e facilità d’impiego: secco o inumidito assume consistenze diverse e diverse possibilità d’impiego. Veniva tradizionalmente preparato in casa con un impasto di farina e lievito e sottoposto a una duplice cottura: una prima cottura dell’impasto, steso in una sfoglia sottile e una seconda cottura (tostatura o carasatura) che serviva ad eliminare l’acqua in eccesso e a rendere secca e croccante la sfoglia. Essendo comunque un impasto altamente glutinico e lievitato, la sfoglia di carasau, se reidratata, riacquista una sua elasticità e consistenza. Questo principio è alla base della preparazione del pane frattau, una gustosa millefeuille di pane carasau, pomodoro e pecorino, con un’elegante finitura di uovo poché.

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Tipico della Barbagia e della provincia di Nuoro, trae probabilmente origine dall’uso degli avanzi delle scorte alimentari dei pastori che, rientrati a casa dopo la transumanza, riportavano scarti di formaggio non consumato e pane frantumato (frattau); questi ingredienti venivano quindi mescolati con acqua o brodo di pecora e serviti come pietanza. L’uso del sugo di pomodoro è sicuramente più recente, legato alla diffusione del frutto nell’area mediterranea dopo i viaggi in America degli spagnoli e all’abitudine di preparare salse dense di pomodoro come intingoli per il pane.

L’uovo affogato rappresenta sicuramente un modo di arricchire il piatto, sia sotto il profilo del gusto che della nobiltà degli ingredienti.

A seconda della zona è uso condire il pane frattau con erbe aromatiche, come basilico o prezzemolo. Ve ne proponiamo una versione arricchita con foglie di menta fresca, davvero buonissima e con qualche fiocco di sale Maldon, che sarà il tocco gourmet di questo meraviglioso piatto della tradizione.

 

Ingredienti (per 4 persone) 

600 g di passata di pomodoro datterino
400 g di polpa di pomodorino ciliegino
2 spicchi d’aglio rosso
15 foglie di menta ed alcune per guarnire
150 g di pecorino sardo grattugiato
250 g di pane carasau
4 uova
1 litro di brodo di carne
sale
olio extravergine d’oliva

 

Procedimento

Filtrate il brodo di carne e portatelo ad ebollizione. Spegnete quindi il fuoco e lasciate intiepidire.

Preparate il sugo di pomodoro. In una casseruola mettete a cuocere a fuoco dolce tutto il pomodoro, il trito di aglio e menta, due cucchiai di olio d’oliva e una presa di sale. Lasciate sobbollire e ridurre per 15-20 minuti. Togliete dal fuoco.

In un pentolino portate ad ebollizione l’acqua con un cucchiaio di aceto bianco; aprite le uova separatamente in una ciotolina e ad una ad una, fatele scivolare nell’acqua bollente e cuocetele per circa un minuto e mezzo. Cuocete il successivo solo dopo aver cotto ed estratto il precedente dall’acqua con una schiumarola.

Potete ora comporre il piatto; passate un foglio di pane velocemente nel brodo tiepido e utilizzatelo come base del primo strato. Ricoprite quindi con il sugo e il pecorino e continuate per 4-5 strati. Ogni strato dovrà essere composto da un foglio di pane carasau, uno strato di sugo e una spolverata abbondante di pecorino grattugiato.

Al termine dell’ultimo strato, dopo il pecorino grattugiato, riponete al centro l’uovo poché; guarnite con qualche fogliolina di menta e qualche cristallo di sale Maldon (o un pizzico di sale grosso se non lo avete).