Il mosaico di sapori e tradizioni che caratterizza il nosto paese è frutto della dedizione e soprattutto del coraggio di persone che investono in piccole produzioni locali. Nel cuore dell’Oltrepò Pavese si trova l’azienda agricola il Boscasso, una piccola oasi in cui vengono prodotti prelibati prodotti caseari, frutto di un piccolo allevamento di capre. Amore per la natura e rispetto degli animali sono gli ingredienti vincenti di questa azienda a conduzione familiare che nelle domeniche da aprile a novembre offre anche la possibilità di degustare questi fantastici prodotti presso il ristorante dell’agriturismo.
Accolti in un intimo ambiente familiare, ecco una selezione di piatti in cui il formaggio è protagonista in diverse affinature e stagionature.
Il nostro menu prevedeva: “sformato di patate, cipolla e formaggi di capra alla maggiorana con peperoni verdi e uvetta”; “ravioli al grano arso con ripieno di ricotta e formaggio stagionato di capra con vellutata di zucca”; “tagliere degustazione di sette caprini stagionati con marmellate”; “crostata di cacao e mandorle con crema di nocciole e cioccolato e pere al bonarda”. Ottimi i formaggi degustati, tra cui il Quadro a crosta fiorita, il Caprino in foglia lavata, il Crosta lavata, il Tronchetto al carbone vegetale, la Toma di capra stagionata.
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Dopo pranzo è possibile visitare l’azienda agricola, in particolare la stalla dove si trovano le protagoniste di questa magnifica attività. Le caprette sono una vera esplosione di allegria, si percepisce immediatamente il rispetto che viene dato loro e l’enorme lavoro che c’è dietro tutta la produzione.
Non vi resta che fare visita a questa oasi del gusto.
Milano è una città dalla bellezza spesso celata dietro un velo di sobrietà. Ai suoi palazzi storici si aggiungono molte incantevoli location della Milano di oggi, fatta di un viavai frenetico di turisti, businessmen e una popolazione sempre attiva e vivace.
Nella tranquillissima zona di via Monte di Pietà, si trova il lussuoso complesso dell’Hotel Mandarin Oriental, dove lo chef Antonio Guida gestisce il ristorante Seta e il Mandarin Oriental Bistrot. Il ristorante, che si apre su un meraviglioso cortile interno, è l’ideale per una cena romantica o tra intimi amici, mentre per un pranzo veloce e meno impegnativo, la piccola corte del bistrot accoglie in un tranquilla parentesi una giornata più frenetica.
Il menù è curato dallo chef Antonio Guida mentre la carta dei dolci dallo chef Nicola di Lena.
Tartare di gamberi e aragosta.
Controfiletto di manzo con carciofi, bieta e topinambur; carne cotta alla perfezione; gusto semplice ed appagante.
Degustazione di formaggi di fattoria con pane alle noci e dolci contrasti; formaggi di ottima qualità; delizioso il pane in accompagnamento.
Il ristorante Bu:r cattura la nuova essenza dello chef Eugenio Boer. Un susseguirsi di suggestioni che richiamano e tramandano, come delle piccole storie. Storie di vita e di un peregrinare incessante (Palermo, Berlino, Alto Adige), e di origini che affondano tra l’Italia mediterranea della Liguria e della Sicilia e l’Olanda paterna.
La creatività dello chef si esprime in un racconto breve, un “c’era una volta” che termina in un fulmen in clausola abbastanza repentino il cui leitmotiv è l’introdursi sobrio e semplice, senza orpelli e senza retorica.
Si passa attraverso suggestioni semplici e complesse, come Il mare (iodato), Taverna Santo Palato (cucina futurista), Il Viaggio (contaminazioni), la Cuisine du Marché (Quotidianità) e altre, che attraverso uno o più piatti, creano un menù riflesso del pensiero e della storia del suo ideatore.
Interessanti i piatti, in particolare il risotto alla cenere e salmerino anche in un estro creativo che rimane ancora però figlio della contingenza, del placet del cliente milanese e quindi, forse, un po’ di un gusto inflazionato.
Il locale, in ottima posizione centrale a Milano, somma elementi di funzionalità quasi scandinava ad uno spettro cromatico blu e oro più complesso. Il servizio è stato preciso e attento, con qualche riserva sulla presentazione dei piatti.
Nella consapevolezza delle enormi potenzialità dello chef e della sua nuova “casa”, vi consigliamo una visita; ci aspettiamo un’evoluzione non solo creativa ma anche strutturata, un livello di complessità che travalichi le origini e si proponga quale sintesi nuova, originale ma solida.
La sua vita era stata confusa e disordinata; ma se poteva ritornare a un certo punto di partenza e ricominciare lentamente tutto da capo, sarebbe riuscito a scoprire qual era la cosa che cercava.
F. S. Fitzgerald
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Orto. Composizione di frutta, fiori e verdure marinate, crude e cotte, spuma di caprino e crumble di funghi porcini.
Tartare di tonno, pomodoro e acqua di pomodoro.
Taco con farina di ceci, gamberi rosa di San Remo, pesto alla genovese e bisque di gamberi.
Anguria fritta, verdure e burrata.
Capasanta, fragoline di bosco e fiori di zucca.
Macaron con frattaglie di piccione e burro di cacao.
Petto di pollo confit, finto zabaione con la polvere di pomodoro con la coscia cotta a bassa temperatura impanata e fritta.
Risotto alla cenere e salmerino.
Cappelletti di gambero rosso di Mazara nel loro consommé, limone e menta.
Granita agli agrumi emulsionata a mano, capperi, caffè e arachidi.
C’è un’aura magica e meravigliosamente inattuale che circonda alcuni luoghi. Luoghi che non si propongono come atleti nell’agone dell’alta cucina, fatta di classifiche e simboli di eccellenza, ma vivono delle loro sorprendenti peculiarità. A Casa Leali si arriva seguendo una incantevole strada panoramica che costeggia la sponda occidentale del Lago di Garda, un percorso che sale tra ulivi e vigneti e l’azzurro dell’orizzonte lacustre.
Casa Leali
Una dimora antica, felicemente ristrutturata, in cui predominano materiali sinceri, la pietra, il legno, il vetro. Un bel giardino, curato, con alcuni tavoli all’esterno per le giornate primaverili ed estive; all’interno, due piccole sale. I fratelli Leali, Andrea (lo chef) e Marco (il maitre), hanno scelto la casa di famiglia come location per una cucina intraprendente ed elegante, che sorprende per la fresca novità dei piatti. Un’impresa giovane che mette insieme numerosi elementi, tutti pienamente riusciti: l’impatto creativo ed estetico dei piatti dello chef, la perfetta cura della sala e il servizio impeccabile, un’ottima cantina, un ambiente intimo ma pieno di luce e colori. Nessuna sbavatura.
Il talento colpisce un bersaglio che nessun altro può colpire; il genio colpisce un bersaglio che nessun altro può vedere.
A. Schopenhauer
E’ una assolata domenica di giugno e arriviamo a Casa Leali già inebriati delle meraviglie del lago. L’accoglienza è puntuale ma senza eccessivi formalismi.
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Il menù, oltre ad una varia scelta à la carte, propone anche due percorsi degustazione. Iniziamo con delle pregevoli entrée: paranza leggera di gamberi bianchi, salicornia e maionese all’aglio, cialde con farina di mandorle, crema di nocciola ed erbette selvatiche e il panino sferico al vapore con crema di tartufi.
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La tavola propone inoltre un ottimo paté di fegatini di pollo, servito in compagnia di un burro montato salato allo scalogno con polvere di fiori di ibisco, ed un gentile olio del garda.
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Toast croccante, scampo crudo, brodo di cedro. Scampo crudo dell’Adriatico battuto al coltello, pane pugliese di Altamura croccante; maionese di scampi, brodo al cedro. Un antipasto sfizioso e raffinato che strizza l’occhio ad una cucina fusion di altri tempi.
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Animelle di vitello tostate, condite alla milanese. Animella sbianchita, bollita e tostata in padella, laccata con crema di risotto alla parmigiana, midollo di ossobuco e zafferano. Piatto delicato e gradevolissimo che richiama le consistenze cremose e morbide di un risotto alla milanese.
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Gnocchi con farina di patate e mais spinoso di Esine; caviale affumicato di aringa e crema di peperoni. Un piatto generoso in cui i sapori più estremi del caviale di aringa e del peperone rosso convivono in modo semplice e nobile.
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Bottoni farciti con brasato di cipolla, Franciacorta, sugo di verdure. Per un amante della pasta all’uovo e delle paste ripiene in generale, un effetto di sapori complessi e quasi “carnei” per un risultato molto gustoso ma leggero.
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Faraona con il suo ristretto, carote, alloro, the nero. Faraona in due consistenze; petto cotto a bassa temperatura, tostato e accompagnato con fondo ridotto di cottura e the nero; crema di carote dolci, polpetta di coscia e ala disossata.
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Muscolo di vitello tostato, ristretto di verdure e caffè, cialde croccanti di patate e spinaci fritti. Garretto posteriore bollito e ripassato, brodo ristretto; infusione al caffè; cialde croccanti di patate e spinaci fritti. Ottimi ingredienti ed ottime consistenze; cotture precise e un’identità che rompe le consuetudini.
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Predessert, sorbetto olio, limone e menta; i frutti del Garda, non lontano da un giovane alberello di ulivo.
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Cacio e pepe di mele, limone e crema alla vaniglia. Pennette di mele, gel di mela cotta, scorzette di limone, crema di cioccolato bianco, mascarpone e semi di quinoa. Un trompe l’oeil e un gioco di camouflage, dal risultato fresco e piacevole.
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Biscotto Dacquoise alle mandorle, crema al cioccolato bianco, albicocca e ganache infusa al limone. Un ottimo dessert al cucchiaio, dal sapore aristocratico che ci ricorda da dove siamo partiti.
Casa Leali è un luogo dove il tempo si ferma e l’esperienza gastronomica è esaltata dal gusto di una tradizione innovata da tecniche e preparazioni pregevoli e da uno stile che si presenta in modo positivo come autodidatta, originale e di grande talento. Un luogo del gusto che vi consigliamo vivamente e dove ogni gourmand dovrebbe fare una sosta.
Le farfalle hanno una grazia incantevole, ma sono anche le creature più effimere che esistano. Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate, e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte. Forse in un mondo diverso da questo.
H. Murakami, 1Q84
Una cucina che ha la grazia di una farfalla e che propone piatti dalla sofisticata semplicità; una cucina italiana pervasa dall’elegante sobrietà giapponese. Yoji Tokuyoshi, noto per essere stato il sous chef di Massimo Bottura fino al 2013, ha da qualche anno la sua sede a Milano, dove ha aperto il ristorante che porta il suo nome. Un ambiente color smeraldo, pochi coperti ed uno chef’s table che ricorda un sushi bar con un’ideale continuità di sala e cucina.
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I piatti sono espressione di una cucina italiana dinamica, che si rinnova con i modi e lo stile del Giappone; l’effetto sorpresa dovuto anche alle scomposizioni e destrutturazioni dei sapori a cui siamo abituati ricorda la sorpresa della visione dell’altro. Meno richiamo della memoria e più contemplazione, l’effetto 1Q84 è sottile e penetrante ed in questo lontano dall’esperienza francescana.
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Due menù degustazione (la rotazione stagionale dei piatti fondanti la sua cucina e il menu Omakase con le nuove proposte dello chef) ed una piccola carta. Scegliamo “Italia incontra Giappone” una degustazione dei piatti più famosi.
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Iniziamo con delle deliziose amuse bouche, una sfoglia di pastinaca con carpaccio di trota salmonata, un piccolo sandwich di pane al vapore con burro e alici. Segue una fantasiosa rivisitazione della pizza capricciosa.
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Buono il pane con lievito madre, accompagnato da burro nocciola.
I piatti sono accompagnati da una parte liquida scomposta, servita a parte e che dà completezza e vigore all’ingrediente principale, come nel caso dell’insalata di calamari con brodo di calamari.
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Lo sgombro gyotaku, in crosta di carbone vegetale con capesante e gamberi, accompagnato da un delicato latte di pinoli riprende l’antica tecnica figurativa del gyotaku, risalente all’800, quando i pescatori registravano le caratteristiche del pescato con dei disegni monocromatici e dalle linee semplici del pesce e delle sue dimensioni. La morbida consistenza del pesce e la sua sapidità evolvono in un croccante contrasto e nella freschezza dolce del latte di pinoli.
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Insalata spumosa #tokuyoshi è un equilibrato mix di verdure e frutta incorniciate dal gusto deciso della spuma d’aceto, accompagnata da un brodo di olive e pomodori verdi che donano un vivace tocco mediterraneo.
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Proseguiamo con gli spaghetti omaggio a Noto con vongole, capperi e granella di pistacchio la cui cottura viene terminata nel latte di mandorla, completato con una spruzzata di grappa di frappato, serviti insieme ad un brodo di capperi.
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Guancia brasata al barbaresco con porri fritti e purea di patate, accompagnata con un brodo di patate; ottima la carne, la sua cottura delicata e lenta, il suo morbido sciogliersi in bocca ed un equilibrio ottimo di sapori.
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Triglia robatayaki con la sua bisque, carote e brodo di pesce; la triglia è cotta con la tecnica giapponese della griglia robatayaki; un buon gioco di dolcezza e sapidità.
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Ci prepariamo alla conclusione di questo delizioso percorso culinario, con un fresco pre-dessert, sorbetto ai fiori di sambuco.
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Concludiamo con il dolce Monte Rosa, racchiuso tra pareti di meringa di barbabierola e caffè, spuma di patate arrosto e lemongrass e gelato alla mela cotogna con una base di biscotti ai funghi e pan di spagna.
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Il nostro percorso è stato accompagnato con un buon sake dal profumo fresco e fruttato e concluso con caffè verde e sfiziosi petit fours.
In un antico casale del ‘500 alle porte di Milano, ritroviamo un luogo dove la storia delle antiche tradizioni contadine convive con il presente e una cucina viva e contemporanea. L’Antica Osteria La Rampina si trova nella campagna milanese, luogo perfetto per un pranzo o una cena nella tranquillità del verde.
La cucina propone piatti tradizionali della cucina lombarda accostati da una scelta più innovativa, rappresentata in cucina dal giovane chef Luca Gagliardi.
Il menù è vario, con proposte di carne, pesce e vegetariane.
La nostra degustazione inizia con “indivia cruda e cotta, pompelmo rosa e asparagi”, un piacevole equilibrio di consistenze e sapori e il “soufflè d’ortica con crema di patate e lavanda”; un gusto delicato e un profumo elegante e caratteristico.
Proseguiamo con i primi: “gnocchetti al nero di seppia con scampi, pomodorini e lardo affumicato”; un ottimo piatto con un bel profilo estetico. I “trucioli di Gualtiero Marchesi al ragù d’anatra” sono un omaggio al formato di pasta creato dal grande maestro in occasione di Expo 2015; una pasta che raccoglie il condimento e che mantiene molto bene la cottura, qui servita con un ragù d’anatra (buono ma poco generoso).
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Tra i secondi, scegliamo l'”anatra con ciliegie”, un ricco piatto della tradizione contadina padana e il “granchio con pomodorini e basilico gratinato nel suo carapace”.
Concludiamo con un buon tiramisù e una degustazione di formaggi con miele di castagno.
Immerso in un paesaggio bucolico, tra il lago di Garda e i pendii morenici, si trova l’agriturismo ristorante Moscatello Muliner, un elegante albergo di collina con il fascino antico dei casolari di un tempo ma con il volto di un sofisticato ritrovo urbano. In una posizione privilegiata, è la sosta ideale per chi voglia una pausa dalle affollate sponde lacustri di Sirmione, a pochi minuti d’auto.
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Un luogo dove assaporare il tempo. Il ristorante e le stanze sono in gran parte frutto della supervisione artistica dello chef-architetto-pittore Lorenzo Bernardini, che ha saputo declinare il buongusto nella cucina e nell’impatto estetico della location. La parola chiave è quell'”indulgere” sereno che ha il favore e l’impressionabilità di una pellicola fotografica: laddove l’ambiente rilassa e appaga i sensi dei suoi ospiti, lì le emozioni sono più forti, perché lo spirito è più incline al piacere.
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La cucina di Lorenzo Bernardini offre un piacere dal linguaggio nobile ma immediato e questa simbiosi rara si trasforma sempre in un ricordo di forte impatto.
Varcando la soglia, la sala si apre in un recupero attento della struttura con una forte spinta artistica che si ritrova nelle pareti, nei decori e nella mise en place con influenze di astrattismo lirico e geometrico inserite in modo incantevole nella suite di arredi in cui vengono a crearsi spazi e aree che si susseguono appartate, ma in un ambiente continuo, il cui occhio si apre all’esterno attraverso le ampie vetrate.
La proposta della cucina, non nova sed nove è piuttosto ricca, anche sotto il profilo qualitativo e segue un ritmo stagionale. La cura del menù è attenta ai gusti e alle esigenze più ricercate, con riguardo anche al cliente vegetariano che ha sempre una proposta valida e mai banale. L’attenzione per il cliente è buona, soprattutto per la categoria del ristorante.
Dopo un amuse bouche, un gustoso cubetto di rifreddo di carne, iniziamo con due ottimi antipasti di origine contadina, la “pappa al pomodoro San Marzano, stracciatella di bufala e chips di patate ‘Vitelotte'” e il “tortino di patate di Moscatello sfogliate, noce di manzo affumicato e rafano”. Puntuali le cotture e superlativa la delicata crema di rafano.
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Tra i primi, assaggiamo gli “gnocchi di patate di moscatello al ragout bianco di anatra e oca con pecorino di pienza” e il “mezzo pacchero rigato in dadolata di seppia dell’Adriatico, pisellini e zenzero candito”. Una sfida tra una tradizione forte e pervasiva e una ricerca fine e ambiziosa; il contrasto è netto e (de gustibus) non può che assegnarsi un vantaggio ad un piatto dalla forte espressione territoriale.
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Passiamo ai secondi: “guanciale di manzo” e “gamberi su torretta di cime di rapa, riso rosso selvatico e piccolo ristretto di crostacei”.
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Concludiamo con un buon tiramisù (più classico) ed un gradevolissimo liquore infuso all’alloro. Come scriveva Savarin: “colui che non dice male di nessuno ha ben diritto di trattare con qualche indulgenza se stesso”.
La gastronomia e l’alimentazione si muovono all’interno di categorie dinamiche, in un continuo fluire di tradizioni antiche, nuovi sapori, riscoperta di ingredienti desueti e prodotti di altre tradizioni. La cucina si arricchisce sempre più di una spettacolare e caleidoscopica varietà di gusti che hanno radici spesso profonde e in sintonia con quella parte del nostro essere che pulsa con l’infinito.
“For everything that lives is holy.” W. Blake
Il ruolo dell’uomo nel mondo, da antico e fallibile predatore, si è fatto sempre più vicino a quello della ruota di un ingranaggio all’interno di una complessa macchina universale, che è nostro compito rispettare e manutenere. E’ ormai anacronistico pensare che il rispetto sottragga anziché arricchire, che l’armonia sia noia rispetto al caos, che non vi sia piacere senza distruzione.
Esistono filosofie millenarie che insegnano che nutrirsi non è divorare, cucinare non è violentare, arricchirsi non è impoverire il mondo; questo approccio sta piano piano cambiando il nostro modo di vivere, di sfruttare risorse e, sì, anche di mangiare.
Pietro Leemann è uno chef che ormai da molti anni applica questi principi alla cucina. Il suo ristorante Joia, a Milano, è stato il primo ristorante europeo con cucina vegetariana a ricevere la stella Michelin. La sua cucina non è sottrazione o sostituzione, ma ricca (a tratti pantagruelica) espressione della gioia della vita, nella sua forma più naturalmente artistica, fatta non di ingredienti esotici e profumi inebrianti, ma dei vividi colori dei prodotti migliori del nostro territorio. Un vernissage impressionistico, un’arte gentile.
“La mia cucina vuole essere una passeggiata leggera in un paesaggio fantastico. Metafisico, surrealista, iperrealista, ma concreto. I piatti sono composti da piccoli contenitori di forma, gusto e colori diversi che si contrastano e si complementano. Frammenti di natura.” P. Leemann
Siamo stati nello scrigno di Pietro Leemann per un pranzo festivo, in una Milano deserta. Il ristorante si trova nella vivissima zona di Porta Venezia, inserito in un contesto urbano che lasciamo alle spalle appena varcata la soglia. Recentemente ristrutturata, la sala interna è sobria ed elegante, pervasa di suoni della natura che dilatano lo spazio attorno a noi.
Il menù prevede tre proposte degustazione ed una scelta à la carte; abbiamo scelto il percorso Zenith, di undici portate, l’essenza più strutturata della cucina dello chef. I piatti hanno nomi evocativi, che li ricollegano a sensazioni profonde e, talvolta, anche spirituali.
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Apriamo il pranzo con due deliziosi fuori menù: una tavolozza di crudités e colori e una piccola terrina di mandorla e zenzero, crema di zucchina e limone, semi di erbe essiccate e carota.
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Di non solo pane vive l’uomo
Panzanella con verdure croccanti e cuore di cannellini profumati al wasabi, letto rinfrescante di zafferano e lampone, daikon marinato alla giapponese, pomodoro al pepe verde.
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Rivisitazione di un classico piatto toscano con un tocco di esoticità. Ottimo il sentore acidulo che richiama l’aceto e la complessità di sapori che si viene a creare con le salse, anche visivamente.
Porto del sole
Tatin di cipollotto cotta lentamente e al momento, quark all’erba cipollina, balsamico di fragole.
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Un bellissimo impatto estetico, un piatto un po’ a sé che stimola profondamente il ricordo, con ingredienti semplici e accostamenti nuovi e delicati.
Omaggio a Gualtiero Marchesi
Crema di porri e patate nuove, pesto di nocciole piemontesi, piattoni, spuma soffice di tartufo pregiato di Norcia e chips di patate alla curcuma.
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Nelle parole dello chef un piatto “generoso”, come il grande maestro a cui è dedicato; profumi nobili e intensi che segnano il passo di un menù che si rinnova.
La rosa che non colsi
Cous cous come a Marakesh con velo di peperoni, prato fiorito, dashi all’umeboshi,
sorbetto non dolce alle noci e fieno greco.
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Perseveranza
Ravioli colorati, farciti di sugo napoletano uno, l’altro di ricotta e aglio degli orsi, emulsione di pecorino sardo, con taccole e macchie di vino ridotto.
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Anima Mundi
Tortino di patate, lenticchie e ortiche, strati golosi e croccanti con erbe dal nostro orto e fragole, due salse, una colorata, l’altra di harissa e arachidi, caprino di mandorla.
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Un piatto complesso, ricco di consistenze, sapori, con l’esaltazione della moltitudine di erbe spontanee.
Sotto una coltre colorata
Passeggiata in quel bosco, con pesto rosso, cuore di zucchine e menta, cubi di ricotta affumicata, salvia croccante, peperone lombardo grigliato, fagiolini e altre sorprese nascoste sotto un morbido e gustoso manto impalpabile.
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La scoperta, a poco a poco, dei gusti freschi di una passeggiata in un campo in primavera; il tutto secretato sotto una coltre magica e colorata di spuma di zafferano.
Assaggio di formaggi
a pasta molle e dura, con caglio vegetale.
Pomo d’oro
Pomodoro, dadolata di verdure, rabarbaro e frutta di stagione profumati al frutto
della passione, sorbetto di basilico.
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Un dolce fresco ed estivo, leggero, addolcito da un’ottima coulis al frutto della passione; un’elegante foglia d’oro chiude e illumina il piatto.
Gong
Spuma vaporosa di latte con fragole, salsa di vaniglia, di lampone, croccante ai pistacchi,
foglie di melissa, la nostra composta di albicocche.
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Uno dei piatti simbolo del Joia, un’esaltazione sensoriale accompagnata da un gong che risveglia l’udito e da un gioco di consistenze cremose e croccanti, sapori dolci e più acidi.
5 minuti
Variazione di cioccolato, con terrina al mirtillo, mousse al caffè, stracciatella di cocco e tartelletta di limone.
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Abbiamo concluso il nostro pranzo molto soddisfatti e non abbiamo percepito alcuna “assenza”. Al di fuori dell’amore per le ricchissime tradizioni gastronomiche del nostro paese, abbiamo avuto anche noi questa suggestione: che la strada sia segnata e che in un futuro non troppo lontano il rispetto e la salvaguardia del mondo passeranno anche da una nuova alimentazione. Ci piace pensare a questa rivoluzione come un cambiamento progressivo, pacifico e pervasivo, cui sarà impossibile sottrarsi ma che non impoverirà nessuno.
Entrare da Ba’Ghetto è un po’ come fare un viaggio in una dimensione parallela. Per i milanesi che non hanno dimestichezza con le regole della cucina ebraica kosher (o kasher, ovvero “appropriato” per l’alimentazione), vedere questi principi applicati ai piatti tradizionali della cucina romanesca può avere un duplice significato di particolarità e novità.
La tradizione della cucina giudaico-romanesca è certamente molto antica, sviluppatasi all’interno della comunità ebraica di Roma e proposta al pubblico in molte osterie del ghetto ebraico. Alcuni ristoranti di via del Portico d’Ottavia hanno raggiunto una discreta popolarità negli ultimi anni; tra questi c’è Ba’Ghetto, che nasce come trattoria romana negli anni Ottanta e apre più recentemente due sedi proprio nel ghetto ebraico (Ba’ Ghetto potrebbe essere tradotto in ebraico con “nel ghetto”).
Recentissima è l’apertura della sede milanese, in via Sardegna, non lontano da Piazza Piemonte e dal Teatro Nazionale; il ristorante, secondo i precetti ebraici, è chiuso in corrispondenza dello Shabbat.
Ci siamo stati per un pranzo della domenica e abbiamo molto apprezzato l’atmosfera familiare e conviviale che vi si respira. Il menù comprende piatti della tradizione culinaria giudaico-romanesca; non sono presenti latticini (in quanto non kasher mescolare carne e latticini nello stesso pasto), carne di suino, crostacei e tutto quanto non previsto dai precetti religiosi ebraici. L’adattamento dei piatti prevede quindi l’uso di carni di manzo e pollo, anche sottoposte ad essiccazione e salatura (ad esempio per sostituire il guanciale in piatti come la pasta alla gricia o all’amatriciana). La carta dei vini contiene anche molte proposte di vini israeliani.
Abbiamo iniziato con gli antipasti “concia di zucchine” e “falafel”; un mix di sapori e profumi anche mediorientali che rimandano alla cucina israeliana.
Tra i primi abbiamo scelto gli “spaghetti alla carbonara” e le “mezze maniche alla gricia”; come già citato, il guanciale è sostituito da carne essiccata e non sono presenti latticini e formaggio; la rielaborazione è molto piacevole e porta a scoprire un gusto quasi nuovo rispetto ai piatti da cui traggono il nome.
Molto gustosi i secondi, il “baccalà alla giudia”, in umido e soprattutto “l’abbacchio al forno con patate”; ottima la carne e perfetta la cottura, davvero succulento.
Concludiamo con un buon “tiramisu”: l’assenza del mascarpone dà una consistenza più leggera, ma il gusto è delizioso.
Vi consigliamo una visita per un pranzo o una cena conviviale alla scoperta dei sapori tradizionali della cucina giudaico-romanesca.
Nel rinato quartiere di Porta Nuova a Milano, troviamo il ristorante Berton, che porta il nome del suo chef, Andrea Berton. Friulano di nascita, Berton fa parte di quel novero di discepoli di Gualtiero Marchesi che hanno trovato nel tempo una piena identità e affermazione.
La filosofia della sua cucina è molto chiara, avere una profonda conoscenza della materia prima e valorizzarla nella sua totalità senza sprechi e spesso anzi creando stupore. Valorizzare ogni singolo ingrediente, anche quello apparentemente più povero del piatto o che non sembra degno di essere il protagonista, avendo cura di evidenziare quello che è il sapore vero dell’ingrediente; una cucina che nonostante l’alto valore aggiunto, veicola la bontà semplice degli ingredienti.
Location elegante, formale ma confortevole, che strizza l’occhio ad una clientela di professionisti, ad una Milano urbana, borghese e altamente consapevole della sua storia gastronomica.
Il menu prevede due percorsi di degustazione (i famosi “brodi” dello chef e un menu più tradizionale e di più ampio respiro, che decidiamo di provare).
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Iniziamo con degli invitanti amuse-bouche e proseguiamo con gli antipati: “canestrelli e liquirizia”, “cannolicchi di mare con gelatina di latte di tigre e guacamole” e “insalata di gamberetti e mandorla affumicata”.
I canestrelli, simili a delle capesante ma più piccole, sono servite leggermente scottati e accompagnati da una crema di liquirizia, corallo, germogli di liquirizia e limone; la crema di liquirizia è sorprendentemente delicata, il piatto è molto equilibrato e gradevole. I cannolicchi, più sapidi, sono valorizzati dal gusto pungente del latte di tigre bilanciati dal gusto più rotondo della guacamole, combinazione deliziosa. Molto interessante l’insalata di gamberetti, un nuoto sincronizzato di piccoli eleganti crostacei.
Il primo piatto è una ricetta già pluripremiata dello chef: “risotto alla pizzaiola con acqua di mozzarella”; all’assaggio è una suite di sapori, con il tono franco della crema di mozzarella di bufala accompagnato dalla polvere di pomodoro e dallo speziato acuto della polvere di cappero e origano. Il piatto è una sorta di camouflage e il riso quasi un “pretesto” per il veicolo di sapori nettamente mediterranei.
Proseguiamo con i secondi: “anguilla, cavolo rosso marinato, yogurt salato e alloro”, “maialino croccante, composta di pera alla senape, porro arrosto e salsa al caffè” e “fegato di vitello con rape rosse e aceto balsamico”. Buon equilibrio nei piatti e nella loro successione, con una nostra predilezione per il maialino croccante.
Passiamo alla parte dolce di questo piacevolissimo percorso culinario: il pre-dessert “caviale, liquirizia e limone”; una simpatica riproduzione della latta di caviale (in realtà liquirizia sferificata) accompagnata dallo shot di vodka/sorbetto al limone.
Proseguiamo con “pizza meringa, lampone e fragoline di bosco”, di nuovo inizia il gioco dei ricordi e dell’innovazione; qui va assolutamente riconosciuto il talento dello chef nell’ideazione del piatto e nel bilanciamento dei sapori. In effetti all’assaggio la mente viene riportata al sapore della crosta della pizza e subito giunge il dolce che culmina nella fragolina.
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Proseguiamo con “cioccolato, menta e salvia”, una chiusura elegante e fresca di questo percorso vario. Ma non possiamo andarcene senza un fuori menu, il famoso “uovo di yogurt e mango” un finto uovo con un guscio di burro di cacao, albume di yogurt e tuorlo di mousse al mango; una piccola opera d’arte che è anche un ottimo dessert di fine pasto.
Vini: Giulio Ferrari, Riserva del Fondatore 2006 (Chardonnay Trentodoc Metodo Classico)
Liquori: Whisky Yoichi No Age Single Malt Nikka, Marsala Vecchio Samperi.