MODUS, MILANO

“Ingredienti prelibati e amore per il Cilento, in cucina non uso altro. La mia passione nasce dalle mie origini, il mio stile prende ispirazione, forza e generosità dalla mia terra”.

Con queste parole, che si traducono in modo diretto nei piatti, Paolo ci accompagna nel goloso mondo della cucina Cilentana. Il menù propone antipasti, le pizze con impasto classico napoletano e una versione cilentana definita “come una volta”, alcuni primi piatti e secondi, ed infine i dolci.

Come antipasto ci siamo lasciati tentare dai fritti, abbiamo assaggiato il crocchè di patate versione Cilentana, quindi con provola affumicata e soppressata (di Gioi), le polpette di baccalà e la pizza fritta Cilentana con pomodoro cotto e la cacioricotta di capra. Tutto delizioso.

Il viaggio è proseguito con l’assaggio della pizza “come una volta”, impasto con lievito madre e farine provenienti da grani locali macinati a pietra e totalmente integrali. Abbiamo scelto la Cilentana sbagliata, pomodoro cotto, olio, cacioricotta di capra e fior di latte; marinara cilentana, pomodoro a pacchelle, aglio, olive, alici, capperi, olio e origano. Impasto autentico, che vuole raccontare appunto qualcosa di diverso, “come una volta”.

Ultima tentazione i cannoli Cilentani, una versione meno pretenziosa del sublime cannolo siciliano, che prevedono la farcitura con crema pasticcera gialla e al cacao.

Vini: Vetere Cantine San Salvatore

Ecco alcuni scatti….

Mandarin Oriental Bar & Bistrot, Milano

Milano è una città dalla bellezza spesso celata dietro un velo di sobrietà. Ai suoi palazzi storici si aggiungono molte incantevoli location della Milano di oggi, fatta di un viavai frenetico di turisti, businessmen e una popolazione sempre attiva e vivace.

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Nella tranquillissima zona di via Monte di Pietà, si trova il lussuoso complesso dell’Hotel Mandarin Oriental, dove lo chef Antonio Guida gestisce il ristorante Seta e il Mandarin Oriental Bistrot. Il ristorante, che si apre su un meraviglioso cortile interno, è l’ideale per una cena romantica o tra intimi amici, mentre per un pranzo veloce e meno impegnativo, la piccola corte del bistrot accoglie in un tranquilla parentesi una giornata più frenetica.

Il menù è curato dallo chef Antonio Guida mentre la carta dei dolci dallo chef Nicola di Lena.

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Tartare di gamberi e aragosta.

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Controfiletto di manzo con carciofi, bieta e topinambur; carne cotta alla perfezione; gusto semplice ed appagante.

Degustazione di formaggi di fattoria con pane alle noci e dolci contrasti; formaggi di ottima qualità; delizioso il pane in accompagnamento.

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Zuppa inglese

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Millefoglie con crema al pistacchio di Bronte

Bu:r, Milano

Il ristorante Bu:r cattura la nuova essenza dello chef Eugenio Boer. Un susseguirsi di suggestioni che richiamano e tramandano, come delle piccole storie. Storie di vita e di un peregrinare incessante (Palermo, Berlino, Alto Adige), e di origini che affondano tra l’Italia mediterranea della Liguria e della Sicilia e l’Olanda paterna.

La creatività dello chef si esprime in un racconto breve, un “c’era una volta” che termina in un fulmen in clausola abbastanza repentino il cui leitmotiv è l’introdursi sobrio e semplice, senza orpelli e senza retorica.

Si passa attraverso suggestioni semplici e complesse, come Il mare (iodato), Taverna Santo Palato (cucina futurista), Il Viaggio (contaminazioni), la Cuisine du Marché (Quotidianità) e altre, che attraverso uno o più piatti, creano un menù riflesso del pensiero e della storia del suo ideatore.

Interessanti i piatti, in particolare il risotto alla cenere e salmerino anche in un estro creativo che rimane ancora però figlio della contingenza, del placet del cliente milanese e quindi, forse, un po’ di un gusto inflazionato.

Il locale, in ottima posizione centrale a Milano, somma elementi di funzionalità quasi scandinava ad uno spettro cromatico blu e oro più complesso. Il servizio è stato preciso e attento, con qualche riserva sulla presentazione dei piatti.

Nella consapevolezza delle enormi potenzialità dello chef e della sua nuova “casa”, vi consigliamo una visita; ci aspettiamo un’evoluzione non solo creativa ma anche strutturata, un livello di complessità che travalichi le origini e si proponga quale sintesi nuova, originale ma solida.


La sua vita era stata confusa e disordinata; ma se poteva ritornare a un certo punto di partenza e ricominciare lentamente tutto da capo, sarebbe riuscito a scoprire qual era la cosa che cercava.

F. S. Fitzgerald


Orto. Composizione di frutta, fiori e verdure marinate, crude e cotte, spuma di caprino e crumble di funghi porcini.

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Tartare di tonno, pomodoro e acqua di pomodoro.

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Taco con farina di ceci, gamberi rosa di San Remo, pesto alla genovese e bisque di gamberi.

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Anguria fritta, verdure e burrata.

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Capasanta, fragoline di bosco e fiori di zucca.

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Macaron con frattaglie di piccione e burro di cacao.

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Petto di pollo confit, finto zabaione con la polvere di pomodoro con la coscia cotta a bassa temperatura impanata e fritta.

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Risotto alla cenere e salmerino.

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Cappelletti di gambero rosso di Mazara nel loro consommé, limone e menta.

 

Granita agli agrumi emulsionata a mano, capperi, caffè e arachidi.

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Omaggio a Fontana e alla maison Troisgros.

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Vini:

  • Champagne Laurent Lequart collection Découverte Réserve Brut 2010
  • Distillato “La Vieille Prune”

 

Il conto: 156 €/ps

Tokuyoshi, Milano


Le farfalle hanno una grazia incantevole, ma sono anche le creature più effimere che esistano. Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate, e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte. Forse in un mondo diverso da questo.

H. Murakami, 1Q84


Una cucina che ha la grazia di una farfalla e che propone piatti dalla sofisticata semplicità; una cucina italiana pervasa dall’elegante sobrietà giapponese. Yoji Tokuyoshi, noto per essere stato il sous chef di Massimo Bottura fino al 2013, ha da qualche anno la sua sede a Milano, dove ha aperto il ristorante che porta il suo nome. Un ambiente color smeraldo, pochi coperti ed uno chef’s table che ricorda un sushi bar con un’ideale continuità di sala e cucina.

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I piatti sono espressione di una cucina italiana dinamica, che si rinnova con i modi e lo stile del Giappone; l’effetto sorpresa dovuto anche alle scomposizioni e destrutturazioni dei sapori a cui siamo abituati ricorda la sorpresa della visione dell’altro. Meno richiamo della memoria e più contemplazione, l’effetto 1Q84 è sottile e penetrante ed in questo lontano dall’esperienza francescana.

Due menù degustazione (la rotazione stagionale dei piatti fondanti la sua cucina e il menu Omakase con le nuove proposte dello chef) ed una piccola carta. Scegliamo “Italia incontra Giappone” una degustazione dei piatti più famosi.

Iniziamo con delle deliziose amuse bouche, una sfoglia di pastinaca con carpaccio di trota salmonata, un piccolo sandwich di pane al vapore con burro e alici. Segue una fantasiosa rivisitazione della pizza capricciosa.

Buono il pane con lievito madre, accompagnato da burro nocciola.

I piatti sono accompagnati da una parte liquida scomposta, servita a parte e che dà completezza e vigore all’ingrediente principale, come nel caso dell’insalata di calamari con brodo di calamari.

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Lo sgombro gyotaku, in crosta di carbone vegetale con capesante e gamberi, accompagnato da un delicato latte di pinoli riprende l’antica tecnica figurativa del gyotaku, risalente all’800, quando i pescatori registravano le caratteristiche del pescato con dei disegni monocromatici e dalle linee semplici del pesce e delle sue dimensioni. La morbida consistenza del pesce e la sua sapidità evolvono in un croccante contrasto e nella freschezza dolce del latte di pinoli.

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Insalata spumosa #tokuyoshi è un equilibrato mix di verdure e frutta incorniciate dal gusto deciso della spuma d’aceto, accompagnata da un brodo di olive e pomodori verdi che donano un vivace tocco mediterraneo.

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Proseguiamo con gli spaghetti omaggio a Noto con vongole, capperi e granella di pistacchio la cui cottura viene terminata nel latte di mandorla, completato con una spruzzata di grappa di frappato, serviti insieme ad un brodo di capperi.

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Guancia brasata al barbaresco con porri fritti e purea di patate, accompagnata con un brodo di patate; ottima la carne, la sua cottura delicata e lenta, il suo morbido sciogliersi in bocca ed un equilibrio ottimo di sapori.

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Triglia robatayaki con la sua bisque, carote e brodo di pesce; la triglia è cotta con la tecnica giapponese della griglia robatayaki; un buon gioco di dolcezza e sapidità.

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Ci prepariamo alla conclusione di questo delizioso percorso culinario, con un fresco pre-dessert, sorbetto ai fiori di sambuco.

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Concludiamo con il dolce Monte Rosa, racchiuso tra pareti di meringa di barbabierola e caffè, spuma di patate arrosto e lemongrass e gelato alla mela cotogna con una base di biscotti ai funghi e pan di spagna.

Il nostro percorso è stato accompagnato con un buon sake dal profumo fresco e fruttato e concluso con caffè verde e sfiziosi petit fours.

  • Vini: Sake Daiginjo Konishi Hiyashibori Gold
  • Prezzo: 160 € / ps

DG

 

 

Joia, Milano

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La gastronomia e l’alimentazione si muovono all’interno di categorie dinamiche, in un continuo fluire di tradizioni antiche, nuovi sapori, riscoperta di ingredienti desueti e prodotti di altre tradizioni. La cucina si arricchisce sempre più di una spettacolare e caleidoscopica varietà di gusti che hanno radici spesso profonde e in sintonia con quella parte del nostro essere che pulsa con l’infinito.


“For everything that lives is holy.” W. Blake


Il ruolo dell’uomo nel mondo, da antico e fallibile predatore, si è fatto sempre più vicino a quello della ruota di un ingranaggio all’interno di una complessa macchina universale, che è nostro compito rispettare e manutenere. E’ ormai anacronistico pensare che il rispetto sottragga anziché arricchire, che l’armonia sia noia rispetto al caos, che non vi sia piacere senza distruzione.

Esistono filosofie millenarie che insegnano che nutrirsi non è divorare, cucinare non è violentare, arricchirsi non è impoverire il mondo; questo approccio sta piano piano cambiando il nostro modo di vivere, di sfruttare risorse e, sì, anche di mangiare.

Pietro Leemann è uno chef che ormai da molti anni applica questi principi alla cucina. Il suo ristorante Joia, a Milano, è stato il primo ristorante europeo con cucina vegetariana a ricevere la stella Michelin. La sua cucina non è sottrazione o sostituzione, ma ricca (a tratti pantagruelica) espressione della gioia della vita, nella sua forma più naturalmente artistica, fatta non di ingredienti esotici e profumi inebrianti, ma dei vividi colori dei prodotti migliori del nostro territorio. Un vernissage impressionistico, un’arte gentile.


“La mia cucina vuole essere una passeggiata leggera in un paesaggio fantastico. Metafisico, surrealista, iperrealista, ma concreto. I piatti sono composti da piccoli contenitori di forma, gusto e colori diversi che si contrastano e si complementano. Frammenti di natura.” P. Leemann


 

Siamo stati nello scrigno di Pietro Leemann per un pranzo festivo, in una Milano deserta. Il ristorante si trova nella vivissima zona di Porta Venezia, inserito in un contesto urbano che lasciamo alle spalle appena varcata la soglia. Recentemente ristrutturata, la sala interna è sobria ed elegante, pervasa di suoni della natura che dilatano lo spazio attorno a noi.

Il menù prevede tre proposte degustazione ed una scelta à la carte; abbiamo scelto il percorso Zenith, di undici portate, l’essenza più strutturata della cucina dello chef. I piatti hanno nomi evocativi, che li ricollegano a sensazioni profonde e, talvolta, anche spirituali.

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Apriamo il pranzo con due deliziosi fuori menù: una tavolozza di crudités e colori e una piccola terrina di mandorla e zenzero, crema di zucchina e limone, semi di erbe essiccate e carota.

Di non solo pane vive l’uomo
Panzanella con verdure croccanti e cuore di cannellini profumati al wasabi, letto rinfrescante di zafferano e lampone, daikon marinato alla giapponese, pomodoro al pepe verde.

Rivisitazione di un classico piatto toscano con un tocco di esoticità. Ottimo il sentore acidulo che richiama l’aceto e la complessità di sapori che si viene a creare con le salse, anche visivamente.
Porto del sole
Tatin di cipollotto cotta lentamente e al momento, quark all’erba cipollina, balsamico di fragole.

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Un bellissimo impatto estetico, un piatto un po’ a sé che stimola profondamente il ricordo, con ingredienti semplici e accostamenti nuovi e delicati.
Omaggio a Gualtiero Marchesi
Crema di porri e patate nuove, pesto di nocciole piemontesi, piattoni, spuma soffice di tartufo pregiato di Norcia e chips di patate alla curcuma.

Nelle parole dello chef un piatto “generoso”, come il grande maestro a cui è dedicato; profumi nobili e intensi che segnano il passo di un menù che si rinnova.
La rosa che non colsi
Cous cous come a Marakesh con velo di peperoni, prato fiorito, dashi all’umeboshi,
sorbetto non dolce alle noci e fieno greco.

Perseveranza
Ravioli colorati, farciti di sugo napoletano uno, l’altro di ricotta e aglio degli orsi, emulsione di pecorino sardo, con taccole e macchie di vino ridotto.

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Anima Mundi
Tortino di patate, lenticchie e ortiche, strati golosi e croccanti con erbe dal nostro orto e fragole, due salse, una colorata, l’altra di harissa e arachidi, caprino di mandorla.

Un piatto complesso, ricco di consistenze, sapori, con l’esaltazione della moltitudine di erbe spontanee.
Sotto una coltre colorata
Passeggiata in quel bosco, con pesto rosso, cuore di zucchine e menta, cubi di ricotta affumicata, salvia croccante, peperone lombardo grigliato, fagiolini e altre sorprese nascoste sotto un morbido e gustoso manto impalpabile.

La scoperta, a poco a poco, dei gusti freschi di una passeggiata in un campo in primavera; il tutto secretato sotto una coltre magica e colorata di spuma di zafferano.
Assaggio di formaggi
a pasta molle e dura, con caglio vegetale.
Pomo d’oro
Pomodoro, dadolata di verdure, rabarbaro e frutta di stagione profumati al frutto
della passione, sorbetto di basilico.

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Un dolce fresco ed estivo, leggero, addolcito da un’ottima coulis al frutto della passione; un’elegante foglia d’oro chiude e illumina il piatto.
Gong
Spuma vaporosa di latte con fragole, salsa di vaniglia, di lampone, croccante ai pistacchi,
foglie di melissa, la nostra composta di albicocche.

Uno dei piatti simbolo del Joia, un’esaltazione sensoriale accompagnata da un gong che risveglia l’udito e da un gioco di consistenze cremose e croccanti, sapori dolci e più acidi.
5 minuti
Variazione di cioccolato, con terrina al mirtillo, mousse al caffè, stracciatella di cocco e tartelletta di limone.

Abbiamo concluso il nostro pranzo molto soddisfatti e non abbiamo percepito alcuna “assenza”. Al di fuori dell’amore per le ricchissime tradizioni gastronomiche del nostro paese, abbiamo avuto anche noi questa suggestione: che la strada sia segnata e che in un futuro non troppo lontano il rispetto e la salvaguardia del mondo passeranno anche da una nuova alimentazione. Ci piace pensare a questa rivoluzione come un cambiamento progressivo, pacifico e pervasivo, cui sarà impossibile sottrarsi ma che non impoverirà nessuno.
Vini: Ca’ del Bosco Dosage Zéro 2011
Il conto: 172 €/ps
DR

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Ba’Ghetto, Milano

Entrare da Ba’Ghetto è un po’ come fare un viaggio in una dimensione parallela. Per i milanesi che non hanno dimestichezza con le regole della cucina ebraica kosher (o kasher, ovvero “appropriato” per l’alimentazione), vedere questi principi applicati ai piatti tradizionali della cucina romanesca può avere un duplice significato di particolarità e novità.

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La tradizione della cucina giudaico-romanesca è certamente molto antica, sviluppatasi all’interno della comunità ebraica di Roma e proposta al pubblico in molte osterie del ghetto ebraico. Alcuni ristoranti di via del Portico d’Ottavia hanno raggiunto una discreta popolarità negli ultimi anni; tra questi c’è Ba’Ghetto, che nasce come trattoria romana negli anni Ottanta e apre più recentemente due sedi proprio nel ghetto ebraico (Ba’ Ghetto potrebbe essere tradotto in ebraico con “nel ghetto”).

Recentissima è l’apertura della sede milanese, in via Sardegna, non lontano da Piazza Piemonte e dal Teatro Nazionale; il ristorante, secondo i precetti ebraici, è chiuso in corrispondenza dello Shabbat.

Ci siamo stati per un pranzo della domenica e abbiamo molto apprezzato l’atmosfera familiare e conviviale che vi si respira. Il menù comprende piatti della tradizione culinaria giudaico-romanesca; non sono presenti latticini (in quanto non kasher mescolare carne e latticini nello stesso pasto), carne di suino, crostacei e tutto quanto non previsto dai precetti religiosi ebraici. L’adattamento dei piatti prevede quindi l’uso di carni di manzo e pollo, anche sottoposte ad essiccazione e salatura (ad esempio per sostituire il guanciale in piatti come la pasta alla gricia o all’amatriciana). La carta dei vini contiene anche molte proposte di vini israeliani.

Abbiamo iniziato con gli antipasti “concia di zucchine” e “falafel”; un mix di sapori e profumi anche mediorientali che rimandano alla cucina israeliana.

Tra i primi abbiamo scelto gli “spaghetti alla carbonara” e le “mezze maniche alla gricia”; come già citato, il guanciale è sostituito da carne essiccata e non sono presenti latticini e formaggio; la rielaborazione è molto piacevole e porta a scoprire un gusto quasi nuovo rispetto ai piatti da cui traggono il nome.

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Molto gustosi i secondi, il “baccalà alla giudia”, in umido e soprattutto “l’abbacchio al forno con patate”; ottima la carne e perfetta la cottura, davvero succulento.

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Concludiamo con un buon “tiramisu”: l’assenza del mascarpone dà una consistenza più leggera, ma il gusto è delizioso.

Vi consigliamo una visita per un pranzo o una cena conviviale alla scoperta dei sapori tradizionali della cucina giudaico-romanesca.

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Vini: Prosecco Bartenura

Il conto: 55€ /ps

Ristorante Berton, Milano 

Nel rinato quartiere di Porta Nuova a Milano, troviamo il ristorante Berton, che porta il nome del suo chef, Andrea Berton. Friulano di nascita, Berton fa parte di quel novero di discepoli di Gualtiero Marchesi che hanno trovato nel tempo una piena identità e affermazione.

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La filosofia della sua cucina è molto chiara, avere una profonda conoscenza della materia prima e valorizzarla nella sua totalità senza sprechi e spesso anzi creando stupore. Valorizzare ogni singolo ingrediente, anche quello apparentemente più povero del piatto o che non sembra degno di essere il protagonista, avendo cura di evidenziare quello che è il sapore vero dell’ingrediente; una cucina che nonostante l’alto valore aggiunto, veicola la bontà semplice degli ingredienti.

Location elegante, formale ma confortevole, che strizza l’occhio ad una clientela di professionisti, ad una Milano urbana, borghese e altamente consapevole della sua storia gastronomica.

Il menu prevede due percorsi di degustazione (i famosi “brodi” dello chef e un menu più tradizionale e di più ampio respiro, che decidiamo di provare).

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Iniziamo con degli invitanti amuse-bouche e proseguiamo con gli antipati: “canestrelli e liquirizia”, “cannolicchi di mare con gelatina di latte di tigre e guacamole” e “insalata di gamberetti e mandorla affumicata”.

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I canestrelli, simili a delle capesante ma più piccole, sono servite leggermente scottati e accompagnati da una crema di liquirizia, corallo, germogli di liquirizia e limone; la crema di liquirizia è sorprendentemente delicata, il piatto è molto equilibrato e gradevole. I cannolicchi, più sapidi, sono valorizzati dal gusto pungente del latte di tigre bilanciati dal gusto più rotondo della guacamole, combinazione deliziosa. Molto interessante l’insalata di gamberetti, un nuoto sincronizzato di piccoli eleganti crostacei.

Il primo piatto è una ricetta già pluripremiata dello chef: “risotto alla pizzaiola con acqua di mozzarella”; all’assaggio è una suite di sapori, con il tono franco della crema di mozzarella di bufala accompagnato dalla polvere di pomodoro e dallo speziato acuto della polvere di cappero e origano. Il piatto è una sorta di camouflage e il riso quasi un “pretesto” per il veicolo di sapori nettamente mediterranei.

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Proseguiamo con i secondi: “anguilla, cavolo rosso marinato, yogurt salato e alloro”, “maialino croccante, composta di pera alla senape, porro arrosto e salsa al caffè” e “fegato di vitello con rape rosse e aceto balsamico”. Buon equilibrio nei piatti e nella loro successione, con una nostra predilezione per il maialino croccante.

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Passiamo alla parte dolce di questo piacevolissimo percorso culinario: il pre-dessert “caviale, liquirizia e limone”; una simpatica riproduzione della latta di caviale (in realtà liquirizia sferificata) accompagnata dallo shot di vodka/sorbetto al limone.

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Proseguiamo con “pizza meringa, lampone e fragoline di bosco”, di nuovo inizia il gioco dei ricordi e dell’innovazione; qui va assolutamente riconosciuto il talento dello chef nell’ideazione del piatto e nel bilanciamento dei sapori. In effetti all’assaggio la mente viene riportata al sapore della crosta della pizza e subito giunge il dolce che culmina nella fragolina.

Proseguiamo con “cioccolato, menta e salvia”, una chiusura elegante e fresca di questo percorso vario. Ma non possiamo andarcene senza un fuori menu, il famoso “uovo di yogurt e mango” un finto uovo con un guscio di burro di cacao, albume di yogurt e tuorlo di mousse al mango; una piccola opera d’arte che è anche un ottimo dessert di fine pasto.

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Vini: Giulio Ferrari, Riserva del Fondatore 2006 (Chardonnay Trentodoc Metodo Classico)

Liquori: Whisky Yoichi No Age Single Malt Nikka, Marsala Vecchio Samperi.

Il conto: 250 €/ps

DG

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Osteria Brunello, Milano

Sarà forse il termine “osteria” a trarvi in inganno, ma è certo che non stiamo parlando del solito locale demodé con i gagliardetti alle pareti.

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L’Osteria Brunello è un luogo elegante e che ha stile, e si propone quale luogo di incontro di una tradizione culinaria schietta e sincera, “da osteria” e il cliente esigente di città. Il locale si trova in corso Garibaldi, appena fuori da quella suite di locali turistici (e caratteristici) che è il quadrilatero di Brera.

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Ci siamo stati un sabato sera, per una cena veloce e l’esperienza è stata molto positiva.

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Iniziamo con gli antipasti: “uovo cotto a bassa temperatura” e “fiocco di culatello di Podere Cadassa”; l’uovo pochè cotto alla perfezione è servito su una base di patata mantecata al burro, nocciola, spinaci e spuma di zola, è un’armonia di sapori gradevolissima; il fiocco di culatello viene servito con trancetti di focaccia bianca e panna cotta di latte di bufala.

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Proseguiamo con la portata principale: “tagliatelle fresche con ragù alla bolognese e Salva Cremasco” e “petto d’anatra arrosto in crosta di pain brioché al pepe nero, radicchio tardivo composta di arance, caviale di balsamico”; buona la pasta all’uovo, ed il ragù davvero molto gustoso, il tutto accampagnato da una spolverata stuzzichevole di salva cremasco. Ottima la cottura del petto d’anatra e molto interessante la costruzione dei sapori, il contrasto tra l’amaro del radicchio e il dolce della composta di arance, a sua volta di nuovo bilanciato dall’agrodolce del caviale sferificato al balsamico, rende l’assaggio un’esplosione di gusti per il palato.

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Concludiamo con i dolci: “crema bruciata al frutto della passione e cioccolato bianco” e “il cannolo siciliano”; deliziosa la crema bruciata, una versione “leggera” di crème brûlée; sobria ed elegante anche la rivisitazione del cannolo siciliano.

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Vi consigliamo il locale per una cena dai sapori sinceri un po’ fuori dai soliti cliché dell’osteria milanese.

 

Vini: Prosecco di Valdobbiadene

Il conto: 55€ /ps

Osteria dei Malnat, Milano

“Ci piacerebbe che, una volta superata la soglia d’ingresso, il cliente avvertisse subito la sensazione di essere entrato in una casa… una casa dove c’è del cibo che cuoce… dove ci si siede insieme… anche per mangiare”.

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Un luogo dove riscoprire sapori antichi, per alcuni rivivere il gusto delle tradizioni di casa, per altri un viaggio nel mondo della cucina lombarda, che è oggi purtroppo in parte dimenticata e in parte oggetto di inconsapevoli standardizzazioni. Un luogo dove farsi coccolare dal cibo e dalla buona compagnia, l’Osteria dei Malnat, si trova nella zona Ovest di Milano, vicino a piazza De Angeli.

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Ad accompagnarvi in questa gustosa esperienza culinaria c’è lo chef Marco Poncia, che dalla sua cucina a vista, vi guiderà nella sua visione dei piatti della tradizione. I piatti sono quelli di una festa in famiglia, dove ogni portata è un unicum che appaga e che stupisce, più che parte di un percorso gustativo; dentro ogni piatto c’è una sorta di totalità più o meno complessa che ricorda appunto l’opulenza dei giorni di festa.

A fare da contorno a questa piacevole esperienza è anche il concept del locale che in un certo senso riprende quella che è la filosofia della cucina, interazione tra tradizione e modernità.

Iniziamo con l’entrée: “alici marinate, burro aromatizzato al legno di melo affumicato”; marinatura eccellente (tenue ed equilibrata la nota acida), con la sapidità che esplode nella dolcezza del burro e dell’affumicatura.

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Proseguiamo con gli antipasti: “crostoni rustici di polenta assortiti” e “zuppa di cipolle con pane croccante al burro”. I crostoni di polenta integrale sono in quattro varianti: al lardo di Colonnata, ragù di cinghiale, luganega e fonduta di casera. Ingredienti diversi che chiudono un ottimo cerchio di sapori.

La zuppa di cipolle (suppa de scigoll) fa parte di quella tradizione lombarda un po’ dimenticata e forse passata di moda ma che non lascia mai delusi.

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I primi: “risotto alla milanese” e “ gnocchi alla luganega e cipolla”; il risotto classico alla milanese è rivisitato con l’aggiunta di una crema di midollo brasato e ristretto al vitello, molto gustoso ed equilibrato; perfetta mantecatura. Gli gnocchi di patate sono accompagnati da salsiccia e cipolla bianca, piatto buono e ben eseguito anche se una dimensione più contenuta degli gnocchi avrebbe forse favorito l’equilibrio dei sapori.

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I secondi: “cassoeula” e “rustin negà cotto al rosa con castagne”; la casseoula viene proposta con uno stufato di verza e maiale con salsiccia e costine, leggermente rivisitata rispetto alla ricetta tradizionale; prevalgono i gusti sapidi delle carni rispetto al dolce del grasso e della verza, ma all’assaggio il ricordo rimanda comunque alla tradizione con la consapevolezza della differenza; il piatto è delizioso. Il rustin è un arrosto di vitello glassato accompaganto da una spuma di patate e castagne; perfetta la cottura al rosa del vitello con la glassatura che ne risalta la dolcezza; la spuma di patate e castagne bilancia il gusto sapido della rendendo il piatto veramente ben equilibrato.

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Concludiamo con i dolci “barbajada del malnat” e “crème brulée alla vaniglia”; il primo, un tortino di frolla bretone con la caratteristica barbajada al caffe, cacao e panna, una bevanda dolce della tradizione simile al bicerin piemontese. Deliziosa anche la créme brulée.

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Il nostro commento sul locale è assolutamente positivo e ci torneremo certamente; siamo sicuri che sarà una proposta che si affermerà sulla scena milanese e che da un approdo sicuro che affonda nella tradizione emergeranno anche degli interessanti contrasti.

 

Il conto: 55€/ps

 

Innocenti Evasioni, Milano

E’ sempre difficile trovare il giusto equilibrio tra una proposta interessante in termini di ingredienti e preparazioni, una giusta dose di innovazione creativa e tradizione e un ambiente curato ma sobrio e intimo; ancor di più se pensiamo ad un ottimo rapporto qualità prezzo.

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Innocenti Evasioni, per l’appunto; momenti di piacere legati ad una cucina curata nei minimi dettagli, ma innocenti; un luogo in cui poter tornare.

Il ristorante di Eros Picco e Tommaso Arrigoni, si trova a Milano, in una zona residenziale abbastanza periferica; entrando si ha per l’appunto l’idea di evadere dalla città e ci si ritrova in un ambiente caldo e accogliente, con una bella vista sul giardino interno, che in estate si trasforma in una piccola terza sala del ristorante.

Esistono vari percorsi degustazione e un menu à la carte in cui sono presenti pochi piatti che soddisfano sia chi ricerca ingredienti e preparazioni più tradizionali, sia chi ama un approccio più alternativo.

La carta dei vini è ben studiata e piuttosto ampia, anche con alcune proposte di nicchia.

Abbiamo scelto dal menu à la carte due percorsi, di terra e di mare.

Iniziamo con un’entrée di “insalata russa alla maionese di foie gras e pane croccante”, stuzzicante invito da accompagnare con gli ottimi crostini e grissini offerti.

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I nostri antipasti sono “baccalà mantecato, zucca, castagne in oliocottura e maionese al formaggio di capra” e “puntina di maiale iberico, sedano rapa al rosmarino, finocchi confit e zeste di limone”. La mantecatura del baccalà è molto leggera, poco grassa e si completa con il gusto più rotondo di zucca e castagne e una discreta acidità nel formaggio di capra. Da applauso il maiale, cotto e glassato alla perfezione e con ottimo equilibrio di sapori.

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Come primi piatti scegliamo i “ravioli farciti di scampi in zuppa di fagioli bianchi, zucca e salvia croccante” e gli “gnocchetti di barbabietola e farina di castagne, sugo di anatra al vino rosso e tuorlo grattato”. Buon connubio tra gli scampi e la salvia croccante, forse un vago eccesso di amidi; piatto buono ma un po’ orfano della sua essenza marina. Abbiamo trovato veramente eccellenti gli gnocchetti ed il sugo di anatra, un piatto deciso e generoso che fa l’occhiolino ai menù tradizionali delle feste e riporta ad un pranzo festivo in famiglia.

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Proseguiamo con “trancio di ricciola, cime di rapa, olio al basilico, succo di mozzarella di bufala e pomodoro” e “petto di faraona, ceci in oliocottura al dragoncello e melanzana alla liquirizia”. Un pesce come la ricciola ben si accosta ai discreti ma distinti sapori mediterranei dei pomodorini confit e delle cime di rapa; ottima la sapida croccantezza della sfoglia al nero di seppia; un piatto che offre molti stimoli al gusto e tutti molto piacevoli.

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Buono anche il petto di faraona, ingrediente versatile e da riscoprire, meno provocatorio dell’ormai inflazionato piccione.

Chiudiamo la cena con “cheesecake alle noci, gelato alla mela caramellata e rum” e “semifreddo di banana e chiodi di garofano, namelaka al cioccolato bianco e wasabi”. Anche nei dolci si nota un’anima più tradizionale che ama coccolare il gusto ed un’anima invece più creativa; squisita e delicata la namelaka al wasabi, un interessante abbinamento con la banana.

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Chiudiamo con una selezione di spiriti e petit fours.

Il servizio è stato discreto, con qualche perdonabile imprecisione. Una location in cui tornare sicuramente e che vi consigliamo per una cena speciale.

Vini: Ribolla Gialla “Il Carpino”.

Il conto: 100€/ps

DR

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