Joia, Milano

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

La gastronomia e l’alimentazione si muovono all’interno di categorie dinamiche, in un continuo fluire di tradizioni antiche, nuovi sapori, riscoperta di ingredienti desueti e prodotti di altre tradizioni. La cucina si arricchisce sempre più di una spettacolare e caleidoscopica varietà di gusti che hanno radici spesso profonde e in sintonia con quella parte del nostro essere che pulsa con l’infinito.


“For everything that lives is holy.” W. Blake


Il ruolo dell’uomo nel mondo, da antico e fallibile predatore, si è fatto sempre più vicino a quello della ruota di un ingranaggio all’interno di una complessa macchina universale, che è nostro compito rispettare e manutenere. E’ ormai anacronistico pensare che il rispetto sottragga anziché arricchire, che l’armonia sia noia rispetto al caos, che non vi sia piacere senza distruzione.

Esistono filosofie millenarie che insegnano che nutrirsi non è divorare, cucinare non è violentare, arricchirsi non è impoverire il mondo; questo approccio sta piano piano cambiando il nostro modo di vivere, di sfruttare risorse e, sì, anche di mangiare.

Pietro Leemann è uno chef che ormai da molti anni applica questi principi alla cucina. Il suo ristorante Joia, a Milano, è stato il primo ristorante europeo con cucina vegetariana a ricevere la stella Michelin. La sua cucina non è sottrazione o sostituzione, ma ricca (a tratti pantagruelica) espressione della gioia della vita, nella sua forma più naturalmente artistica, fatta non di ingredienti esotici e profumi inebrianti, ma dei vividi colori dei prodotti migliori del nostro territorio. Un vernissage impressionistico, un’arte gentile.


“La mia cucina vuole essere una passeggiata leggera in un paesaggio fantastico. Metafisico, surrealista, iperrealista, ma concreto. I piatti sono composti da piccoli contenitori di forma, gusto e colori diversi che si contrastano e si complementano. Frammenti di natura.” P. Leemann


 

Siamo stati nello scrigno di Pietro Leemann per un pranzo festivo, in una Milano deserta. Il ristorante si trova nella vivissima zona di Porta Venezia, inserito in un contesto urbano che lasciamo alle spalle appena varcata la soglia. Recentemente ristrutturata, la sala interna è sobria ed elegante, pervasa di suoni della natura che dilatano lo spazio attorno a noi.

Il menù prevede tre proposte degustazione ed una scelta à la carte; abbiamo scelto il percorso Zenith, di undici portate, l’essenza più strutturata della cucina dello chef. I piatti hanno nomi evocativi, che li ricollegano a sensazioni profonde e, talvolta, anche spirituali.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA
OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Apriamo il pranzo con due deliziosi fuori menù: una tavolozza di crudités e colori e una piccola terrina di mandorla e zenzero, crema di zucchina e limone, semi di erbe essiccate e carota.

Di non solo pane vive l’uomo
Panzanella con verdure croccanti e cuore di cannellini profumati al wasabi, letto rinfrescante di zafferano e lampone, daikon marinato alla giapponese, pomodoro al pepe verde.
Rivisitazione di un classico piatto toscano con un tocco di esoticità. Ottimo il sentore acidulo che richiama l’aceto e la complessità di sapori che si viene a creare con le salse, anche visivamente.
Porto del sole
Tatin di cipollotto cotta lentamente e al momento, quark all’erba cipollina, balsamico di fragole.
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Un bellissimo impatto estetico, un piatto un po’ a sé che stimola profondamente il ricordo, con ingredienti semplici e accostamenti nuovi e delicati.
Omaggio a Gualtiero Marchesi
Crema di porri e patate nuove, pesto di nocciole piemontesi, piattoni, spuma soffice di tartufo pregiato di Norcia e chips di patate alla curcuma.
Nelle parole dello chef un piatto “generoso”, come il grande maestro a cui è dedicato; profumi nobili e intensi che segnano il passo di un menù che si rinnova.
La rosa che non colsi
Cous cous come a Marakesh con velo di peperoni, prato fiorito, dashi all’umeboshi,
sorbetto non dolce alle noci e fieno greco.
Perseveranza
Ravioli colorati, farciti di sugo napoletano uno, l’altro di ricotta e aglio degli orsi, emulsione di pecorino sardo, con taccole e macchie di vino ridotto.
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Anima Mundi
Tortino di patate, lenticchie e ortiche, strati golosi e croccanti con erbe dal nostro orto e fragole, due salse, una colorata, l’altra di harissa e arachidi, caprino di mandorla.
Un piatto complesso, ricco di consistenze, sapori, con l’esaltazione della moltitudine di erbe spontanee.
Sotto una coltre colorata
Passeggiata in quel bosco, con pesto rosso, cuore di zucchine e menta, cubi di ricotta affumicata, salvia croccante, peperone lombardo grigliato, fagiolini e altre sorprese nascoste sotto un morbido e gustoso manto impalpabile.
La scoperta, a poco a poco, dei gusti freschi di una passeggiata in un campo in primavera; il tutto secretato sotto una coltre magica e colorata di spuma di zafferano.
Assaggio di formaggi
a pasta molle e dura, con caglio vegetale.
Pomo d’oro
Pomodoro, dadolata di verdure, rabarbaro e frutta di stagione profumati al frutto
della passione, sorbetto di basilico.
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Un dolce fresco ed estivo, leggero, addolcito da un’ottima coulis al frutto della passione; un’elegante foglia d’oro chiude e illumina il piatto.
Gong
Spuma vaporosa di latte con fragole, salsa di vaniglia, di lampone, croccante ai pistacchi,
foglie di melissa, la nostra composta di albicocche.
Uno dei piatti simbolo del Joia, un’esaltazione sensoriale accompagnata da un gong che risveglia l’udito e da un gioco di consistenze cremose e croccanti, sapori dolci e più acidi.
5 minuti
Variazione di cioccolato, con terrina al mirtillo, mousse al caffè, stracciatella di cocco e tartelletta di limone.
Abbiamo concluso il nostro pranzo molto soddisfatti e non abbiamo percepito alcuna “assenza”. Al di fuori dell’amore per le ricchissime tradizioni gastronomiche del nostro paese, abbiamo avuto anche noi questa suggestione: che la strada sia segnata e che in un futuro non troppo lontano il rispetto e la salvaguardia del mondo passeranno anche da una nuova alimentazione. Ci piace pensare a questa rivoluzione come un cambiamento progressivo, pacifico e pervasivo, cui sarà impossibile sottrarsi ma che non impoverirà nessuno.
Vini: Ca’ del Bosco Dosage Zéro 2011
Il conto: 172 €/ps
DR
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Il Datterino di Artusi – Pane frattau

Il pane carasau è uno degli ingredienti più tipici e conosciuti della gastronomia sarda. La sua storia è certamente legata alla pastorizia, le cui abitudini obbligavano i pastori a lunghi periodi lontano da casa e a consumare cibi che potessero conservarsi a lungo in assenza di sistemi di refrigerazione come appunto le sfoglie di pane carasau e il formaggio stagionato.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Oltre che comprimario sulle tavole sarde, il pane carasau è protagonista di numerose ricette, per la sua versatilità e facilità d’impiego: secco o inumidito assume consistenze diverse e diverse possibilità d’impiego. Veniva tradizionalmente preparato in casa con un impasto di farina e lievito e sottoposto a una duplice cottura: una prima cottura dell’impasto, steso in una sfoglia sottile e una seconda cottura (tostatura o carasatura) che serviva ad eliminare l’acqua in eccesso e a rendere secca e croccante la sfoglia. Essendo comunque un impasto altamente glutinico e lievitato, la sfoglia di carasau, se reidratata, riacquista una sua elasticità e consistenza. Questo principio è alla base della preparazione del pane frattau, una gustosa millefeuille di pane carasau, pomodoro e pecorino, con un’elegante finitura di uovo poché.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Tipico della Barbagia e della provincia di Nuoro, trae probabilmente origine dall’uso degli avanzi delle scorte alimentari dei pastori che, rientrati a casa dopo la transumanza, riportavano scarti di formaggio non consumato e pane frantumato (frattau); questi ingredienti venivano quindi mescolati con acqua o brodo di pecora e serviti come pietanza. L’uso del sugo di pomodoro è sicuramente più recente, legato alla diffusione del frutto nell’area mediterranea dopo i viaggi in America degli spagnoli e all’abitudine di preparare salse dense di pomodoro come intingoli per il pane.

L’uovo affogato rappresenta sicuramente un modo di arricchire il piatto, sia sotto il profilo del gusto che della nobiltà degli ingredienti.

A seconda della zona è uso condire il pane frattau con erbe aromatiche, come basilico o prezzemolo. Ve ne proponiamo una versione arricchita con foglie di menta fresca, davvero buonissima e con qualche fiocco di sale Maldon, che sarà il tocco gourmet di questo meraviglioso piatto della tradizione.

 

Ingredienti (per 4 persone) 

600 g di passata di pomodoro datterino
400 g di polpa di pomodorino ciliegino
2 spicchi d’aglio rosso
15 foglie di menta ed alcune per guarnire
150 g di pecorino sardo grattugiato
250 g di pane carasau
4 uova
1 litro di brodo di carne
sale
olio extravergine d’oliva

 

Procedimento

Filtrate il brodo di carne e portatelo ad ebollizione. Spegnete quindi il fuoco e lasciate intiepidire.

Preparate il sugo di pomodoro. In una casseruola mettete a cuocere a fuoco dolce tutto il pomodoro, il trito di aglio e menta, due cucchiai di olio d’oliva e una presa di sale. Lasciate sobbollire e ridurre per 15-20 minuti. Togliete dal fuoco.

In un pentolino portate ad ebollizione l’acqua con un cucchiaio di aceto bianco; aprite le uova separatamente in una ciotolina e ad una ad una, fatele scivolare nell’acqua bollente e cuocetele per circa un minuto e mezzo. Cuocete il successivo solo dopo aver cotto ed estratto il precedente dall’acqua con una schiumarola.

Potete ora comporre il piatto; passate un foglio di pane velocemente nel brodo tiepido e utilizzatelo come base del primo strato. Ricoprite quindi con il sugo e il pecorino e continuate per 4-5 strati. Ogni strato dovrà essere composto da un foglio di pane carasau, uno strato di sugo e una spolverata abbondante di pecorino grattugiato.

Al termine dell’ultimo strato, dopo il pecorino grattugiato, riponete al centro l’uovo poché; guarnite con qualche fogliolina di menta e qualche cristallo di sale Maldon (o un pizzico di sale grosso se non lo avete).

La Dispensa del Datterino – Sale di Maldon

Chiudete gli occhi e immaginate dei candidi fiocchi di neve che si accumulano sul palmo della vostra mano in una giornata d’inverno. Ora immaginate di poter arricchire con il loro contrasto di consistenza soffice e croccante ed un tocco di elegante sapidità qualunque vostro piatto. Capirete allora perché il sale di Maldon è così amato dagli chef di tutto il mondo e usato per esaltare i sapori di carni, verdure e dolci (perfetto con il cioccolato o il caramello).

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Maldon è una cittadina inglese dell’Essex, famosissima per la produzione del sale già dal Medioevo. L’attuale disciplinare di produzione, regolato dalla Maldon Salt Company, risale al 1882 e a partire dagli anni ’50, la fama di questo ingrediente così speciale si è diffusa in tutta Europa e nel Mondo.

La caratteristica principale del sale di Maldon è di avere una struttura a scaglie o fiocchi, che sono il risultato della frammentazione dei cristalli a piramide cava che si ottengono durante il processo di produzione, che prevede la bollitura, purificazione e cristallizzazione dell’acqua marina. Il clima umido e fresco dell’Inghilterra non permetterebbe infatti il deposito per evaporazione al sole come nelle saline mediterranee.

In una prima fase l’acqua salmastra, dopo essere stata filtrata, viene portata al punto di ebollizione e la temperatura quindi ridotta; si avvia così una lenta cristallizzazione del cloruro di sodio. I piccoli cristalli galleggiano e si espandono in senso radiale da un punto centrale e ad un certo punto affondano; la progressiva evaporazione dell’acqua fa emergere i cristalli di sale che vengono quindi trasferiti in un ambiente secco per l’asciugatura e il confezionamento.

A parità di peso, il maggior volume e superficie di contatto con le papille gustative, rende il suo potere salante percepito maggiore rispetto al comune sale da cucina a cristalli cubici; la sua consistenza è inoltre molto particolare e “croccante” e questo contrasto esalta molto le pietanze a consistenza morbida, come carni, pesce, verdure.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Le sue caratteristiche lo rendono ideale per l’uso a fine cottura; sciolto, infatti, è uguale a qualunque altro sale con lo stesso contenuto di cloruro di sodio. Sbriciolate i friabili fiocchi su un’insalata o su una grigliata mista e, una volta provato, non lo abbandonerete più.

Non stupitevi per il prezzo: il costo di produzione lo rende un sale piuttosto caro (in Italia si trova nei negozi specializzati in gastronomia e alimenti biologici a 20-28€ al kg).

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Il Datterino di Artusi – Schlutzkrapfen (ravioli tirolesi)

Gli schlutzkrapfen, conosciuti anche come ravioli tirolesi, sono una specialità tipica altoatesina, originari della Val Pusteria; appartengono alla tradizione contadina e sono preparati con una sfoglia di farina di segale e grano. La ricetta classica prevede un ripieno di spinaci e formaggio, insaporito da erba cipollina, una breve cottura in acqua salata e il condimento con burro fuso e formaggio.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Questi ravioli hanno una caratteristica forma a mezzaluna e il bordo un po’ irregolare, chiuso a mano. Ne esistono alcune varianti, con ripieni diversi, in alcuni casi anche di carne, ma in ogni maso, la casa rurale tipica altoatesina, la padrona di casa ha la sua ricetta, fatta di anni di tradizione e di amore per gli ingredienti locali.

Vi proponiamo la ricetta più conosciuta, con spinaci, ricotta e parmigiano; la farina di frumento può essere sostituita anche completamente da farina d’orzo, ma la farina di segale non deve assolutamente mancare. In primavera, abbondate con l’erba cipollina fresca, darà un tocco di profumo e gusto inconfondibili.

Potete tirare la sfoglia a mano o a macchina; utilizzate uno spessore non troppo sottile (andrà bene il penultimo spessore delle macchine comunemente in commercio), in quanto è fondamentale che il raviolo non perda di consistenza in cottura. Il disco di pasta potrà avere un diametro di 5-7 cm. Vi consigliamo di passare velocemente gli spinaci cotti con un tritatutto, prima di aggiungere i formaggi e le spezie; la cremosità del ripieno, si presta benissimo alla porzionatura con una sac à poche.

Ingredienti (per circa 40 ravioli)
per l'impasto
170 g di farina di segale
100 g di farina di frumento 00
1 uovo
80 g di acqua
10 g di olio EVO
sale

per il ripieno
170 g di spinaci lessati
1 piccola cipolla bionda
1 spicchio d'aglio
10 g di erba cipollina
100 g di ricotta di latte vaccino
25 g di trentingrana o parmigiano grattugiato
20 g di burro
pepe nero, noce moscata
sale 

per il condimento
100 g di burro
20 g di erba cipollina
trentingrana o parmigiano grattugiato

Iniziate con la preparazione della sfoglia. Mescolate le due farine con una presa di sale. Battete velocemente l’uovo intero con l’acqua e l’olio, aggiungete alla farina e impastate, fino a ottenere un panetto omogeneo, che avrà una consistenza maggiore e sarà meno elastico rispetto alla classica pasta all’uovo. Avvolgete con una pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente.

Procedete con il ripieno. In una casseruola fate appassire l’aglio e la cipolla tritati con il burro; aggiungete quindi gli spinaci lessati, da cui avrete eliminato completamente l’acqua di cottura. Lasciate cuocere a fuoco dolce per 5-10 minuti.

Togliete dal fuoco e frullate per qualche secondo con il tritatutto. Aggiungete la ricotta, il parmigiano, il sale, il pepe, la noce moscata e l’erba cipollina tagliata (con una forbice o un coltello a piccole rondelle come in figura; non usate il tritatutto) e incorporate bene il tutto.

Riprendete il panetto di pasta. Tagliatene 1/4 e cominciate a tirare la sfoglia. Tagliate quindi la pasta con un disco di metallo (5-7cm di diametro). Riponete un po’ di ripieno al centro di ogni raviolo con una sac à poche. Con un dito bagnato, inumidite il bordo a tutta circonferenza. Chiudete quindi gli schlutzkrapfen a mezzaluna pizzicando e sigillando tutto il bordo. Procedete tirando la sfoglia un po’ per volta e mettendo quindi a riposare i ravioli spolverandoli di semola di grano duro, fino a quando avrete finito l’impasto e il ripieno.

In un pentolino lasciate fondere il burro a fuoco dolce e quando sarà tutto fuso e inizierà a soffriggere, spegnete il fuoco e aggiungete l’erba cipollina tagliata.

Lessate gli schlutzkrapfen in abbondante acqua salata cui avrete aggiunto due cucchiai d’olio (cuocete per 2 minuti).

Scolate e condite con il burro fuso e l’erba cipollina e una abbondante spolverata di formaggio grattugiato.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAOLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

 

Il Datterino con la Valigia – USA – Key lime pie

Dolce tipico delle Florida Keys, la Key lime pie è una freschissima torta a base di lime con un involucro croccante e una soffice finitura di panna montata o meringa.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Il lime, piccolo agrume dal profumo che ricorda il limone ma con un gusto meno acido, è originario dell’Asia, conosciuto nei paesi mediterranei da diversi secoli e giunto in america con le spedizioni spagnole. Il lime originario delle isole Keys è caratteristicamente di colore giallo intenso, simile nell’aspetto al limone, ma più piccolo.

La coltivazione dei lime della Florida, che sono appunto diversi da quelli normalmente in commercio di colore verde (ovvero quelli persiani) è stata però fortemente danneggiata da un uragano nel 1926. Attualmente la coltivazione viene mantenuta da pochi privati all’interno dei propri cortili e la richiesta commerciale del frutto è mantenuto dalla produzione dei lime persiani, che hanno piante più resistenti.

La ricetta è stata probabilmente creata a partire dai prodotti locali nella seconda metà del XIX secolo dalle mogli di marinai e pescatori della Florida; prevede infatti, oltre ai lime abbondanti sulle isole, anche latte condensato che ha il vantaggio di non richiedere refrigerazione. La Key lime pie in origine non prevedeva alcuna cottura e la facilità della sua preparazione e conservazione la rendevano adatta per la conservarazione al clima delle isole Keys.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Oggi la torta è preparata generalmente con una doppia cottura, molto veloce, sia dell’involucro che del ripieno contenente uova, e la refrigerazione per alcune ore prima del taglio; è servita guarnita con una meringa soffice o ciuffi di panna montata.
Dal primo luglio 2006, la Key lime pie è divenuta la torta simbolo dello stato della Florida.

La preparazione è molto semplice; potete utilizzare il latte condensato comunemente in commercio, i lime verdi e i biscotti che più preferite, meglio se di frumento integrale. Per un contrasto più netto di sapore, usate biscotti integrali al cacao o con una parte di avena. Servite fredda.

 

Ingredienti (per 4-6 persone, una tortiera di 22-26cm)

300 g di biscotti integrali di frumento
la scorza e il succo di 4 lime
150 g di burro
3 tuorli d’uovo
400 g di latte condensato
per guarnire
100 g di panna, montata 
la scorza di mezzo lime grattugiata

Procedimento

Preriscaldate il forno a 160 °C.

Tritate finemente i biscotti con un frullatore. Sciogliete il burro e miscelate i biscotti sbriciolati con il burro fuso.

Rivestite una tortiera con carta da forno (un buon trucco per farla aderire bene è quello di bagnarla abbondantemente e poi strizzarla) e aiutandovi con le mani create il fondo e i bordi della torta, compattando bene i biscotti.

Cuocete in forno statico per 10 minuti, quindi estraete e lasciate raffreddare.

Sbattete i tuorli e aggiungete progressivamente tutto il latte condensato; aggiungete quindi il succo e la scorza dei lime e continuate a sbattere con il mixer o la planetaria a media velocità per 3/4 minuti.

Riempite l’involucro della torta con il composto e cuocete per altri 15 minuti.

Lasciate raffreddare a temperatura ambiente e poi in frigo per almeno sei ore.

Guarnite la torta con ciuffi di panna montata e una grattugiata di scorza di lime.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Afternoon Tea 3 – Victoria Sponge Cake

La Victoria Sponge Cake, nota anche come Victoria Sandwich, porta il nome della regina Vittoria, durante il cui regno si diffuse rapidamente nelle case inglesi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Una tipica Victoria Sponge Cake è composta da due sponge cotte separatamente e poi assemblate con una farcitura di confettura di fragole e panna montata, crema al burro o clotted cream.

La sponge è una torta soffice preparata con un impasto di burro, zucchero e farina in parti uguali ed un numero di uova intere pari alla dose di burro/50. A differenza dell’impasto del pan di spagna diffuso in Italia, che prevede di montare i tuorli con lo zucchero e aggiungere gli albumi montati a neve alla fine, la sponge nasce con un impasto montato di burro e zucchero a cui vengono quindi incorporate le uova intere e la farina con l’aggiunta di lievito chimico in proporzione del 10% rispetto al peso della farina.

La tradizione britannica della Victoria Sponge Cake nasce infatti in seguito all’invenzione degli agenti lievitanti chimici per dolci, ad opera di Alfred Bird nel 1843; l’ampia diffusione casalinga del lievito chimico si deve invece al tedesco August Oetker, un farmacista tedesco che ne brevettò la formula moderna nel 1903.

La caratteristica del lievito chimico, rispetto agli agenti fermentanti (lievito di birra, lievito madre) è di produrre molto rapidamente anidride carbonica in assenza di fermentazioni che potrebbero alterare il gusto del prodotto (rendendolo generalmente più acido) e di essere adatto anche ad impasti con una maglia glutinica molto debole e che quindi trattiene a fatica le bolle di gas.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

La torta entrò a far parte del rito del tè come elemento essenziale grazie ad Anna, la duchessa di Bedford, una delle dame di compagnia della Regina Vittoria, considerata l’inventrice della tradizione dell’afternoon tea.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Ingredienti

per l'impasto
200 g di zucchero semolato
200 g di burro
200 g di farina 00
4 uova
1 baccello di vaniglia Bourbon
16 g di lievito chimico in polvere

per guarnire
200mL di panna da montare
200mL di crème fraîche
confettura di fragole
zucchero a velo

Procedimento

Con uno sbattitore o planetaria, montate il burro ammorbidito a pezzetti con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungete tutto il contenuto del baccello di vaniglia e, continuando a montare, incorporate le uova intere, una dopo l’altra. Aggiungete quindi la farina setacciata con il lievito.

Trasferite il composto in parti uguali in due teglie rotonde di 20cm di diametro e livellate la superficie. Cuocete in forno caldo ventilato a 170 °C per 20 minuti.

Lasciate raffreddare le due sponge, sformate, su una grigia da forno.

Montate la panna, fredda e non zuccherata. Incorporate quindi la crème fraîche.

Quando le torte saranno a temperatura ambiente, componete la Victoria sandwich mettendo alla base la torta più bassa (se non sono perfettamente uguali) e farcendo con un generoso strato di confettura di fragole e abbondante panna; ricoprite quindi con la seconda sponge e spolverate di zucchero a velo.

L’Argine a Vencò, Dolegna del Collio (GO)

Un viaggio alla scoperta dei confini. I confini geografici e storici, i confini del tempo e del quotidiano, i confini di una tradizione gastronomica multiculturale e sfaccettata e insieme ricca di complessità. Antonia Klugmann ci propone in un tutt’uno il suo punto di partenza e il suo punto d’arrivo, il suo territorio che diventa idea e si riconcretizza nel piatto; un cerchio che si apre e si chiude in un piccolo angolo d’Italia.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Un menù che, come una composizione di Schönberg, propone un cromatismo equilibrato e modulato; una prima sequenze di note apparentemente contrastanti, e la successiva declinazione armonica: l’ingrediente è quindi declinato e “scoperto” in un percorso degustativo che, proprio nell’insieme, esalta ogni sua singola parte.

Arriviamo a Vencò in una splendida mattina di primavera; i prati in fiore riflettono i profumi della terra bagnata dal sole e il suono della natura consacra un silenzio umano che è distante in spazio e tempo dalla città. Arrivano a poco a poco i commensali e la piccola sala del ristorante si popola in continuità con l’esterno tramite le ampie vetrate e quasi come al cospetto di un’edicola di campagna in un giorno di festa.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

La chef ci propone tre percorsi degustazione e una piccola selezione à la carte. Ci abbandoniamo al menù più strutturato, abbinato alla selezione di vini del maître Romano. La cantina racconta volentieri le produzioni vinicole locali e regala, all’ospite curioso e non prevenuto, piacevoli sensazioni che esaltano la ricerca presente nei piatti e la prolungano in un ensemble che esclude una vera e propria fine.

 

Iniziamo con un fuori menù, “involtino primavera con fave, spinaci e sclopit”, un piacevolissimo inizio che stuzzica grazie alla sapidità e al gioco di contrasti e consistenze.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Proseguiamo con “insalata di erbe di bosco, nespola fermentata, cioccolato temperato e battuto di lardo d’anatra”; l’elemento grasso, in continuità con il gusto rotondo del cioccolato, gioca con il contrasto acido della nespola fermentata.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Ecco ora il “crudo di anatra, cavoli e spuma di cren”, un battuto di anatra al coltello marinata con acqua di capperi, accompagnato da una spuma di cren, foglie di cavolini di Bruxelles e foglie di cavolo; la nota dell’anatra viene qui modulata in una forma dominante, in un complesso armonico che stimola il ricordo attraverso la nota aromatica del cren.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

La “polentina verde e silene”, come ci racconta il maître, è il piatto che celebra l’arrivo della primavera; il gusto neutro e il calore della polenta bianca di mais magnificano il silene, la cui nota ci è ora chiara e vivida.

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Proseguiamo con “cuore e fegato di agnello arrostiti, asparago bianco e vinaigrette ai frutti rossi”; una sapiente preparazione delle frattaglie dà vita ad un piatto nobile che recupera ingredienti desueti, nella antica tradizione dell’uso parsimonioso delle parti dell’animale.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Spuntano i “raviolini di grano saraceno, durelli di pollo e sedano rapa”, con grano saraceno soffiato e cicoria selvatica; alla base del piatto un brodo misto di pollo e sedano rapa con un delicato accento sapido; anche in questo piatto un recupero superbo di materie prime povere in una rielaborazione veramente interessante.

E’ ora il momento del famoso “crème caramel di topinambur con mela e misticanza”; un camouflage composto da una crema cotta salata di topinambur guarnita con un finto “fondo bruno” di topinambur rosolato.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Proseguiamo con il “baccalà temperato, maionese di albume e lavanda, bergamotto in salamoia e spinaci”; un piatto multisensoriale che sfrutta l’abbinamento olfattivo (molto apprezzato nell’arte profumiera) tra lavanda e bergamotto.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

La chef rivisita quindi un tipico prodotto triestino, il mussolo, in una “fregola, ragoût di cozze, vongole e mussoli, capasanta scottata”; un piatto che è un concentrato di sapori mediterranei.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Con il “controfiletto di cervo foglie di cavoli e la nostra brovada” scopriamo un ingrediente nuovo, tipicamente friulano, ottenuto tramite macerazione della rapa tagliata a fettine sottili nelle vinacce e poi tradizionalmente sottoposto ad una lunga cottura. La versione di Antonia Klugmann della brovada è una julienne di rapa macerata ma ancora cruda che accompagna la carne di cervo.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Concludiamo con il dolce, “zucca e yogurt”; alla base una sfoglia di zucca caramellata, accompagnata da una soffice mousse allo yogurt e una sottile e croccante meringa spolverata di cannella. Un dessert delicato che abbiamo apprezzato moltissimo. Petit fours di cui ricordiamo un’ottimo biscottino di frolla con skuta (un formaggio acido a pasta morbida).

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Un territorio e una cucina in movimento, questa è davvero la sensazione che abbiamo avuto e ci siamo sentiti parte di un luogo e di un momento che ieri era diverso e domani sarà nuovo e in cui vogliamo tornare, presto, a scoprire nuovi confini.

Tra i vini (otto assaggi) segnaliamo: “Friulano 2016 – friuli colli orientali – Marco Sara”; “Prulke 2015 – Zidarich”; “Sacrisassi 2015 – friuli colli orientali e ribolla gialla – Le due Terre”; “Morus Nigra – refosco – Vignai da Duline”.

Il conto: 140 €/ps

DG

 

Il Datterino di Artusi – Cantucci

Cantucci e vin Santo sono uno dei binomi classici che rimandano alla Toscana e alle sue tradizioni gastronomiche. Anche conosciuti come “biscotti di Prato”, si tratta di biscotti secchi alla mandorle caratterizzati da una doppia cottura e dalla consistenza molto secca e friabile.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

La prima traccia che si ha è del 1691, nel dizionario dell’Accademia della Crusca, ove si parla di un “biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d’uovo”, mentre la prima ricetta risale ad un secolo dopo, riportata in un manoscritto redatto da Amadio Baldanzi, cittadino di Prato.

Nel diciannovesimo secolo, Antonio Mattei, pasticciere di Prato ben noto a Pellegrino Artusi recuperò la ricetta, rivisitandola e codificando di fatto la ricetta tradizionale. I cantucci furono presentati all’esposizione universale di Parigi nel 1867, dallo stesso Mattei, dove ebbero numerosi riconoscimenti.

La versatilità della ricetta, ha prodotto negli anni numerose varianti della ricetta, dolci e salate. Vi proponiamo una ricetta che, come vorrebbe la tradizione, contiene una piccola quantità di pinoli e non contiene burro; l’uso moderno prevede di aggiungere burro (50g per le dosi consigliate) e di utilizzare solo mandorle non pelate.

Ingredienti (per 6-8 persone)

250 g di farina 00
200 g di zucchero a velo
1 uovo intero e 3 tuorli
4 g di lievito per dolci
100 g di mandorle 
40 g di pinoli

Procedimento

Fate tostare mandorle e pinoli in forno caldo a 200 °C per 5 minuti.

In una ciotola capiente, mescolate la farina, lo zucchero e il lievito. Aggiungete l’uovo e i tuorli e iniziate a impastare. Incorporate in modo omogeneo le mandorle e i pinoli tostati. Lasciate riposare l’impasto in frigorifero per 15 minuti.

Formate ora due “salsicciotti” di circa 30cm di lunghezza. Cuocete in forno caldo a 200 °C per 15-20 minuti. Estraete quindi dal forno e lasciate riposare per 10 minuti. Tagliate obliquamente ricavando dei cantucci dello spessore di circa 15mm e della lunghezza di 5-6cm. Riponete in forno ventilato a completare la cottura a 120 °C per 45-50 minuti, fino a quando i biscotti saranno ben dorati.

Lasciate raffreddare e servite con vin Santo.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Il Datterino di Artusi – Pizza di Pasqua (crescia al formaggio)

La crescia al formaggio (conosciuta anche come pizza di Pasqua) è un tipico piatto pasquale diffuso soprattutto nelle Marche e in Umbria. Si tratta di una soffice torta salata di pasta lievitata arricchita con uova e formaggi (Parmigiano Reggiano, Pecorino) servita come accompagnamento ai salumi nella tradizionale colazione salata del giorno di Pasqua, o durante il pranzo della festa.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Diffusa tutto l’anno in una versione più bassa e larga, detta ciaccia o torta al testo, dal nome del contenitore in cui viene cotta, durante le feste pasquali diventa più alta e soffice; la si prepara tradizionalmente il Venerdì Santo e la si lascia riposare fino a quando le campane della domenica non risuonano a festa. In passato, ogni famiglia prenotava in tempo utile il proprio turno al forno il Giovedì o il Venerdì Santo per poter cuocere la pizza di Pasqua e portava poi la crescia in chiesa il giorno di Pasqua per la benedizione.

Il termine si riferisce probabilmente alla crescita dell’impasto che avviene in forno ed è un nome comune che si riferisce anche ad altri prodotti da forno lievitati.

Le origini della pizza di Pasqua sono molto antiche, affondano le radici nel Medioevo; si narra che per prime furono le monache del monastero anconetano di Santa Maria Maddalena a prepararla. La ricetta venne codificata più tardi e la prima traccia scritta risale ad alcuni ricettari di monastero del XIX secolo; le dosi (per molte cresce) venivano riportate a quaranta uova (in riferimento ai quaranta giorni di Quaresima), come simbolo della ricompensa pasquale alla penitenza quaresimale.

Potete servirla ai vostri ospiti come accompagnamento ai salumi o semplicemente come sfiziosità nel cestino del pane. Se preferite una consistenza più soffice e un’occhiellatura più fine, potete utilizzare metà o un terzo del lievito di birra ed allungare i tempi di lievitazione (2-4 ore).

 

Ingredienti

250 g di farina 00 (W170)
250 g di farina manitoba (W350)
25 g di lievito di birra
150 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
100 g di pecorino grattugiato
100 g di pecorino morbido a cubetti
5 uova
150 ml di latte
130 ml di olio extravergine d'oliva
mezzo cucchiaino di sale
un pizzico di pepe nero
un cucchiaino di zucchero
2 cucchiai di burro fuso

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Procedimento

Sciogliete il lievito in qualche cucchiaio di latte tiepido con il cucchiaino di zucchero.

In una ciotola capiente mescolate le farine, il parmigiano e il pecorino grattugiato, il pepe e il sale. Aggiungete tutto il latte e il lievito e iniziare ad impastare.

Aggiungete quindi al composto le uova (incorporandone una alla volta) e l’olio a filo e continuate ad impastare per 10-12 minuti (o almeno 20 minuti se impastate a mano).

Lasciate lievitare a temperatura ambiente per circa 20 minuti. Rompete la lievitazione reimpastando velocemente e incorporate i cubetti di formaggio.

Traferite il composto in uno stampo da forno rotondo a bordi alti (circa 20 cm di diametro e 10 cm di altezza), imburrato e infarinato. Lasciate lievitare a temperatura ambiente fino a quando l’impasto non sarà appena sotto i bordi dello stampo (circa un’ora).

Bucherellate con uno stecchino in modo uniforme, spennellate la superficie con il burro fuso e infornate in forno caldo a 160 °C, per circa 60-70 minuti; se tende a cuocere troppo in superficie, coprite con un doppio foglio di alluminio per alimenti (non prima che siano trascorsi 45 minuti di cottura o potrebbe perdere volume). Al termine della cottura, la crescia dovrà avere un bel colore dorato.

 

Innocenti Evasioni Gourmet Factory, Milano

Gli ingredienti di questa ricetta sono: uno chef stellato, un gruppetto di amanti della buona cucina e l’atmosfera rilassata e conviviale dei fornelli di casa. Mescolate il tutto, condite con un pizzico di curiosità ed ecco una scuola di cucina immediata, vivace e alla portata di tutti.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Una scuola di “tecnica applicata”, che vi permetterà di arricchirvi di un’esperienza diretta nel laboratorio del gusto di Tommaso Arrigoni, lo chef del ristorante Innocenti Evasioni di Milano (una stella Michelin) e di portare a casa con voi tante meravigliose ricette per stupire i vostri ospiti.

“Alla Gourmet Factory cerco di insegnare le astuzie che stanno 
dietro ai piatti di uno chef, seguendo le preparazioni degli 
allievi attimo per attimo. Non servono ricette complicate per 
eseguire un buon piatto, ma passione e precisione, partendo 
sempre dalla materia prima.” T. Arrigoni

Sarete accolti in un ambiente informale e rilassato, in una cucina di casa in cui potrete servirvi dei migliori strumenti e dei migliori ingredienti per preparare piatti buonissimi da poter riproporre anche ai vostri amici.

Abbiamo avuto il piacere di assistere a una lezione dello chef e ne siamo rimasti piacevolmente colpiti; quanto al piacere che dà dilettarsi tra i fornelli in buona compagnia e insieme ad un esperto affabile e pronto a svelarvi tutti i suoi segreti… non ci sono paragoni!

Indossiamo un grembiule e via!

La nostra lezione prevede l’esecuzione di una cena di tre portate: “risotto con topinambur e pepe nero, centrifugato di foglie di sedano e ostrica”; “petto di faraona, ceci in oliocottura al dragoncello e melanzana alla liquirizia”; “barbajada soffiata, tortino alle banane e gelato al fiordilatte”.

Siamo presi per mano e condotti dapprima alla conoscenza degli ingredienti e di come valorizzarli, poi tra le cotture e le preparazioni che sono alla base del piatto ed infine alla composizione e all’impiattamento. Così lo chef ci racconta il suo uso del topinambur, la tecnica per un risotto perfetto e come creare una nuvola profumata di sedano.

Prepariamo poi un’ottimo petto di faraona, nobilitato da una scrupolosa cottura sottovuoto e da fini sapori che ne esaltano le carni bianche e delicate, come la purea di melanzane alla liquirizia e i ceci in oliocottura. Materie prime della tradizione che non hanno bisogno di presentazioni e la cui attenta e sapiente elaborazione possono essere facilmente riprodotte anche a casa.

La filosofia di questa scuola è proprio l’imparare a fare.

Concludiamo con una dolce bevanda della tradizione milanese, proposta in versione dessert insieme ad un tortino alle banane; preparazioni che possono essere organizzate in anticipo per una cena che non vi distolga troppo dai vostri ospiti.

Seduti a tavola a chiacchierare con lo chef, possiamo finalmente apprezzare il frutto del nostro lavoro, la cui bontà è esaltata dalla simpatia e dalla gradevolezza del padrone di casa e dei nostri commensali.

I corsi si svolgono il martedì sera e il sabato pomeriggio con 6-10 partecipanti per lezione. La scuola è al secondo piano dello stabile del ristorante, in via Privata della Bindellina, a Milano. Sono disponibili corsi per tutti i gusti, con diversi piatti, ingredienti, tecniche. Dopo la lezione avrete modo di gustare le vostre creazioni insieme allo chef e ai vostri compagni. Dovete solo scegliere da cosa cominciare e, se volete, mettere alla prova voi e i vostri amici ai fornelli! Sarà un’esperienza indimenticabile.

Per informazioni cliccate qui.

http://www.innocentievasioni.com/scuola-di-cucina/