Casa Leali, Puegnago sul Garda (BS)

C’è un’aura magica e meravigliosamente inattuale che circonda alcuni luoghi. Luoghi che non si propongono come atleti nell’agone dell’alta cucina, fatta di classifiche e simboli di eccellenza, ma vivono delle loro sorprendenti peculiarità. A Casa Leali si arriva seguendo una incantevole strada panoramica che costeggia la sponda occidentale del Lago di Garda, un percorso che sale tra ulivi e vigneti e l’azzurro dell’orizzonte lacustre.

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Casa Leali

Una dimora antica, felicemente ristrutturata, in cui predominano materiali sinceri, la pietra, il legno, il vetro. Un bel giardino, curato, con alcuni tavoli all’esterno per le giornate primaverili ed estive; all’interno, due piccole sale. I fratelli Leali, Andrea (lo chef) e Marco (il maitre), hanno scelto la casa di famiglia come location per una cucina intraprendente ed elegante, che sorprende per la fresca novità dei piatti. Un’impresa giovane che mette insieme numerosi elementi, tutti pienamente riusciti: l’impatto creativo ed estetico dei piatti dello chef, la perfetta cura della sala e il servizio impeccabile, un’ottima cantina, un ambiente intimo ma pieno di luce e colori. Nessuna sbavatura.

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Il talento colpisce un bersaglio che nessun altro può colpire; il genio colpisce un bersaglio che nessun altro può vedere.

A. Schopenhauer


E’ una assolata domenica di giugno e arriviamo a Casa Leali già inebriati delle meraviglie del lago. L’accoglienza è puntuale ma senza eccessivi formalismi.

Il menù, oltre ad una varia scelta à la carte, propone anche due percorsi degustazione. Iniziamo con delle pregevoli entrée: paranza leggera di gamberi bianchi, salicornia e maionese all’aglio, cialde con farina di mandorle, crema di nocciola ed erbette selvatiche e il panino sferico al vapore con crema di tartufi.

La tavola propone inoltre un ottimo paté di fegatini di pollo, servito in compagnia di un burro montato salato allo scalogno con polvere di fiori di ibisco, ed un gentile olio del garda.

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Toast croccante, scampo crudo, brodo di cedro. Scampo crudo dell’Adriatico battuto al coltello, pane pugliese di Altamura croccante; maionese di scampi, brodo al cedro. Un antipasto sfizioso e raffinato che strizza l’occhio ad una cucina fusion di altri tempi.

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Animelle di vitello tostate, condite alla milanese. Animella sbianchita, bollita e tostata in padella, laccata con crema di risotto alla parmigiana, midollo di ossobuco e zafferano. Piatto delicato e gradevolissimo che richiama le consistenze cremose e morbide di un risotto alla milanese.

Gnocchi con farina di patate e mais spinoso di Esine; caviale affumicato di aringa e crema di peperoni.
Un piatto generoso in cui i sapori più estremi del caviale di aringa e del peperone rosso convivono in modo semplice e nobile.

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Bottoni farciti con brasato di cipolla, Franciacorta, sugo di verdure. Per un amante della pasta all’uovo e delle paste ripiene in generale, un effetto di sapori complessi e quasi “carnei” per un risultato molto gustoso ma leggero.

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Faraona con il suo ristretto, carote, alloro, the nero. Faraona in due consistenze; petto cotto a bassa temperatura, tostato e accompagnato con fondo ridotto di cottura e the nero; crema di carote dolci, polpetta di coscia e ala disossata.

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Muscolo di vitello tostato, ristretto di verdure e caffè, cialde croccanti di patate e spinaci fritti. Garretto posteriore bollito e ripassato, brodo ristretto; infusione al caffè; cialde croccanti di patate e spinaci fritti. Ottimi ingredienti ed ottime consistenze; cotture precise e un’identità che rompe le consuetudini.

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Predessert, sorbetto olio, limone e menta; i frutti del Garda, non lontano da un giovane alberello di ulivo.

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Cacio e pepe di mele, limone e crema alla vaniglia. Pennette di mele, gel di mela cotta, scorzette di limone, crema di cioccolato bianco, mascarpone e semi di quinoa. Un trompe l’oeil e un gioco di camouflage, dal risultato fresco e piacevole.

Biscotto Dacquoise alle mandorle, crema al cioccolato bianco, albicocca e ganache infusa al limone.
Un ottimo dessert al cucchiaio, dal sapore aristocratico che ci ricorda da dove siamo partiti.

Casa Leali è un luogo dove il tempo si ferma e l’esperienza gastronomica è esaltata dal gusto di una tradizione innovata da tecniche e preparazioni pregevoli e da uno stile che si presenta in modo positivo come autodidatta, originale e di grande talento. Un luogo del gusto che vi consigliamo vivamente e dove ogni gourmand dovrebbe fare una sosta.

– Vini: Vitovska Zidarich

– Il conto: 100 € / ps

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Tokuyoshi, Milano


Le farfalle hanno una grazia incantevole, ma sono anche le creature più effimere che esistano. Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate, e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte. Forse in un mondo diverso da questo.

H. Murakami, 1Q84


Una cucina che ha la grazia di una farfalla e che propone piatti dalla sofisticata semplicità; una cucina italiana pervasa dall’elegante sobrietà giapponese. Yoji Tokuyoshi, noto per essere stato il sous chef di Massimo Bottura fino al 2013, ha da qualche anno la sua sede a Milano, dove ha aperto il ristorante che porta il suo nome. Un ambiente color smeraldo, pochi coperti ed uno chef’s table che ricorda un sushi bar con un’ideale continuità di sala e cucina.

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I piatti sono espressione di una cucina italiana dinamica, che si rinnova con i modi e lo stile del Giappone; l’effetto sorpresa dovuto anche alle scomposizioni e destrutturazioni dei sapori a cui siamo abituati ricorda la sorpresa della visione dell’altro. Meno richiamo della memoria e più contemplazione, l’effetto 1Q84 è sottile e penetrante ed in questo lontano dall’esperienza francescana.

Due menù degustazione (la rotazione stagionale dei piatti fondanti la sua cucina e il menu Omakase con le nuove proposte dello chef) ed una piccola carta. Scegliamo “Italia incontra Giappone” una degustazione dei piatti più famosi.

Iniziamo con delle deliziose amuse bouche, una sfoglia di pastinaca con carpaccio di trota salmonata, un piccolo sandwich di pane al vapore con burro e alici. Segue una fantasiosa rivisitazione della pizza capricciosa.

Buono il pane con lievito madre, accompagnato da burro nocciola.

I piatti sono accompagnati da una parte liquida scomposta, servita a parte e che dà completezza e vigore all’ingrediente principale, come nel caso dell’insalata di calamari con brodo di calamari.

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Lo sgombro gyotaku, in crosta di carbone vegetale con capesante e gamberi, accompagnato da un delicato latte di pinoli riprende l’antica tecnica figurativa del gyotaku, risalente all’800, quando i pescatori registravano le caratteristiche del pescato con dei disegni monocromatici e dalle linee semplici del pesce e delle sue dimensioni. La morbida consistenza del pesce e la sua sapidità evolvono in un croccante contrasto e nella freschezza dolce del latte di pinoli.

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Insalata spumosa #tokuyoshi è un equilibrato mix di verdure e frutta incorniciate dal gusto deciso della spuma d’aceto, accompagnata da un brodo di olive e pomodori verdi che donano un vivace tocco mediterraneo.

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Proseguiamo con gli spaghetti omaggio a Noto con vongole, capperi e granella di pistacchio la cui cottura viene terminata nel latte di mandorla, completato con una spruzzata di grappa di frappato, serviti insieme ad un brodo di capperi.

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Guancia brasata al barbaresco con porri fritti e purea di patate, accompagnata con un brodo di patate; ottima la carne, la sua cottura delicata e lenta, il suo morbido sciogliersi in bocca ed un equilibrio ottimo di sapori.

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Triglia robatayaki con la sua bisque, carote e brodo di pesce; la triglia è cotta con la tecnica giapponese della griglia robatayaki; un buon gioco di dolcezza e sapidità.

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Ci prepariamo alla conclusione di questo delizioso percorso culinario, con un fresco pre-dessert, sorbetto ai fiori di sambuco.

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Concludiamo con il dolce Monte Rosa, racchiuso tra pareti di meringa di barbabierola e caffè, spuma di patate arrosto e lemongrass e gelato alla mela cotogna con una base di biscotti ai funghi e pan di spagna.

Il nostro percorso è stato accompagnato con un buon sake dal profumo fresco e fruttato e concluso con caffè verde e sfiziosi petit fours.

  • Vini: Sake Daiginjo Konishi Hiyashibori Gold
  • Prezzo: 160 € / ps

DG

 

 

Il Datterino di Artusi – Pappa al pomodoro

Un piatto povero tipico della cucina toscana, divenuto famosissimo grazie alla canzone di Rita Pavone alias Gian Burrasca del 1964 che attribuisce alla pappa al pomodoro (e in senso lato alla cucina della tradizione) addirittura la virtù di sedare tumulti e insurrezioni popolari.

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Pappa al pomodoro – IlDatterino.com

 

Si tratta di un piatto semplice ma gustoso con protagonisti il pane sciocco (senza sale), il pomodoro e l’olio extravergine d’oliva toscano, cotti lentamente fino a divenire una “pappa”.

Generalmente insaporita da aglio e basilico, la pappa al pomodoro può prevedere in alcune zone l’aggiunta di cipolla e peperoncino.

Ve ne proponiamo una versione estiva, servita fredda con una crema di basilico. Per una ricetta vegana, potete sostituire la robiola con la stessa quantità di tofu.

Ingredienti (per 6 persone)

1L di brodo vegetale
800 g di polpa di pomodoro
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
300 g di pane toscano raffermo a fette
10 foglie di basilico
3 spicchi d'aglio rosso
olio EVO
sale, pepe nero

per la crema al basilico
200 g di robiola fresca
un mazzetto di basilico (25-30 foglie)
2 cucchiai di olio EVO

Procedimento

Portate ad ebollizione il brodo. Spegnete la fiamma ed immergetevi le fette di pane raffermo.

Intanto scaldate 5-6 cucchiai di olio d’oliva in una casseruola capiente e lasciate imbiondire l’aglio, tagliato grossolanamente. Aggiungete quindi la polpa e il concentrato di pomodoro e cuocete a fuoco vivace per 4-5 minuti.

Trasferite tutto il pane e il brodo nella casseruola con il pomodoro, con due prese di sale e il basilico tritato e un pizzico di pepe nero. Lasciate sobbollire a fuoco dolce per 45-50 minuti, mescolando di tanto in tanto.

Nel frattempo, preparate la crema al basilico. Frullate in un bicchiere la robiola con il basilico e l’olio, fino ad ottenere un composto fluido di colore verde pistacchio. Trasferite la crema in una sac-à-poche e lasciate riposare in frigorifero fino al momento di servire.

Una volta cotta la pappa, spegnete il fuoco e lasciate raffreddare a temperatura ambiente. Impiattate su un piatto piano da portata, condite con la salsa al basilico e guarnite con qualche fogliolina di basilico fresco.

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Pappa al pomodoro – IlDatterino.com

Antica Osteria La Rampina, San Giuliano Milanese (MI)

In un antico casale del ‘500 alle porte di Milano, ritroviamo un luogo dove la storia delle antiche tradizioni contadine convive con il presente e una cucina viva e contemporanea. L’Antica Osteria La Rampina si trova nella campagna milanese, luogo perfetto per un pranzo o una cena nella tranquillità del verde.

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La cucina propone piatti tradizionali della cucina lombarda accostati da una scelta più innovativa, rappresentata in cucina dal giovane chef Luca Gagliardi.

Il menù è vario, con proposte di carne, pesce e vegetariane.

La nostra degustazione inizia con “indivia cruda e cotta, pompelmo rosa e asparagi”, un piacevole equilibrio di consistenze e sapori e il “soufflè d’ortica con crema di patate e lavanda”; un gusto delicato e un profumo elegante e caratteristico.

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Proseguiamo con i primi: “gnocchetti al nero di seppia con scampi, pomodorini e lardo affumicato”; un ottimo piatto con un bel profilo estetico. I “trucioli di Gualtiero Marchesi al ragù d’anatra” sono un omaggio al formato di pasta creato dal grande maestro in occasione di Expo 2015; una pasta che raccoglie il condimento e che mantiene molto bene la cottura, qui servita con un ragù d’anatra (buono ma poco generoso).

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Tra i secondi, scegliamo l'”anatra con ciliegie”, un ricco piatto della tradizione contadina padana e il “granchio con pomodorini e basilico gratinato nel suo carapace”.

Concludiamo con un buon tiramisù e una degustazione di formaggi con miele di castagno.

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Vini: “Opoka” Ribolla Gialla, Marjan Simcic

Il conto: 95€ / ps

 

La Dispensa del Datterino – Alkermes

Prezioso liquore infuso da dessert e pasticceria, l’alkermes (o alchermes) è alla base di dolci quali la zuppa inglese e le pesche dolci. La ricetta (e il nome) derivano probabilmente dall’arabo al-qirmiz, da cui anche il termine “cremisi” che indica il colore rosso intenso derivato da estratti di un insetto della famiglia delle cocciniglie.

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L’alkermes è arrivato in Europa dalla Spagna durante la dominazione araba; è stato molto apprezzato in Italia durante il Rinascimento. A Firenze era anche noto come liquore mediceo e fu proprio Caterina de’ Medici a farlo conoscere in Francia e alle corti di tutta Europa. La ricetta medicea era (ed è tuttora) custodita da alcuni conventi, in particolare l’officina farmaceutica del convento di Santa Maria Novella.

Gli ingredienti di base sono alcol etilico, zucchero, cannella, chiodi di garofano, scorza d’arancia, cardamomo, anice stellato, vaniglia, acqua di rose e cocciniglia. La scoperta della presenza di questo derivato ha messo in crisi la produzione e l’apprezzamento dell’alkermes soprattutto a partire dal XX secolo. Oggi è uso comune sostituire la cocciniglia con altri derivati naturali o sintetici.

Un liquore con il quale deliziare i vostri ospiti a fine pasto o con cui insaporire un pan di spagna o una elegante zuppa inglese.

La preparazione prevede un’infusione a base di alcol etilico puro e spezie. Dopo un adeguato tempo di infusione (2-4 settimane), il prodotto verrà filtrato e diluito in uno sciroppo di acqua e zucchero.

Ingredienti (per 2L di liquore)

1L di alcol etilico

10 g di cannella macinata
3 g di noce moscata macinata
10 capsule di cardamomo
4 chiodi di garofano
la scorza di un'arancia
un fiore di anice stellato
mezzo baccello di vaniglia bourbon

600 g di zucchero
50mL di acqua di rose
1L di acqua
colorante rosso rubino (vegetale o sintetico)

Preparate le spezie per l’infuso e riponetele tutte in un contenitore di vetro a chiusura ermetica. Aggiungete l’alcol etilico e chiudete. Lasciate riposare in un luogo fresco, asciutto e buio per 2-4 settimane.

Preparate ora lo sciroppo di zucchero; portate a ebollizione un litro d’acqua. Spegnete il fuoco e aggiungete lo zucchero. Lasciate sciogliere lo zucchero e raffreddare lo sciroppo.

Filtrate l’infuso di alcol e spezie con un canovaccio pulito. Aggiungete il liquore filtrato allo sciroppo, ormai freddo. Aggiungete quindi l’acqua di rose e il colorante rosso fino ad ottenere un colore rubino brillante.

Imbottigliate e lasciate riposare almeno una settimana prima di servire.

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Il Datterino con la Valigia – Hawaii – Poke bowl

Lasciate perdere la solita insalata di riso! Se volete un piatto fresco, estivo, completo e davvero alla moda, ecco la poke bowl (si pronuncia po-ké), la ciotola di riso più ricca che abbiate mai visto.

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La poke bowl è un piatto della tradizione hawaiana, noto da secoli, che negli ultimi anni si è diffuso rapidamente in tutto il mondo; un piatto sano e leggero a base di pesce crudo, riso e verdure. La sua recente popolarità è sicuramente legata ai suoi ingredienti sani e bilanciati; pur essendo un piatto ricco, è infatti molto digeribile ed il suo equilibrio di gusti e consistenze lo rende versatile e completo.

Prima negli Stati Uniti e poi in Europa, sono sorti numerosi locali che propongono le più svariate versioni di poke bowls, con tonno, salmone, tofu, e i condimenti più vari e disparati come maionese, salse giapponesi e coreane o miso. Da piatto povero della tradizione, è diventato un piatto vivace e alla moda, un gioco di equilibri di gusti esotici che ha stimolato la fantasia degli chef di tutto il mondo.

In hawaiano il termine poke deriva dal verbo “tagliare” e indica i pezzettoni di pesce tagliati al coltello a cubetti; tradizionalmente il pesce per questo piatto era ottenuto dalle parti meno nobili, come testa o coda.

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Per fare una poke bowl, iniziate scegliendo la base del piatto, tradizionalmente uno strato di riso da sushi, ma in alternativa sono diffuse anche versioni con soba noodles o verdure in foglia. Aggiungete quindi la parte proteica del piatto, che consiste in cubi di 1-2cm di polpa di pesce (tonno, salmone, crostacei) o tofu. Se la parte proteica è grassa e saporita, meglio scegliere un condimento saporito e sapido (salsa di soia, ponzu), se invece utilizzate carni più delicate, scegliete un condimento più leggero e profumato (mirin e salsa di soia, succo di lime o limone). Aggiungete quindi le verdure, avocado, germogli di soia, cipollotto, semi di sesamo bianchi o neri tostati ed eventualmente alga nori.

Vi proponiamo una versione classica di questo piatto, con riso, salmone e tonno, salsa di soia e semi di sesamo.

Ingredienti (per 4 persone)
300 g di riso per sushi
40mL di aceto di riso

6 cucchiai di maionese
la scorza grattugiata di un limone
3 cucchiaini di paprika 
1 cucchiaino di semi di sesamo tostati

200g di tonno per sushi (già abbattuto)
200g di salmone per sushi (già abbattuto)

4 cucchiai di olio di sesamo
8 cucchiai di salsa di soia
il succo filtrato di due lime (o un limone) più un po'

2 piccoli avocado
20 pomodorini ciliegino
2 fogli di alga nori
4 cipollotti
15 g di semi di sesamo

Procedimento

Iniziate preparando il riso al vapore. Riponete il riso in una casseruola capiente e lavatelo delicatamente con acqua fredda fino ad eliminare tutto l’amido (lavate e rimuovete l’acqua dalla casseruola fino a quando non resterà limpida). Aggiungete acqua fredda fino a coprire il riso con circa 15mm di acqua. Coprite con un coperchio e mettete sul fuoco a fiamma vivace per 8 minuti. Spegnete quindi la fiamma e lasciate coperto ancora per 15 minuti. Aprite quindi la casseruola e trasferite il riso (che dovrà essere cotto e aver assorbito l’acqua) in una ciotola. Aggiungete l’aceto di riso e lasciate a temperatura ambiente.

Passate ora alla preparazione della salsa. Potete utilizzare il shichimi togarashi (un condimento a base di peperoncino, pepe di Sichuan, alghe e buccia di agrumi essiccata) o in alternativa la paprika mescolata alla buccia grattugiata di un limone e un cucchiaino di semi di sesamo. Aggiungete quindi la maionese e mescolate bene.

In una ciotola preparate la marinatura con l’olio di sesamo, la salsa di soia, succo di limone e semi di sesamo tostati. Tagliate il pesce a cubi di circa 1-2 cm di lato e mettetelo a marinare per 10-15 minuti, mescolando il tutto con un cucchiaio 2-3 volte.

Tagliate i cipollotti a fettine oblique (solo 4-5 cm di parte verde); tagliate a metà i pomodorini e a fette ogni metà di avocado; bagnate quest’ultimo con del succo di limone. Ottenete delle striscioline sottili dai due fogli di alga nori.

Ora componete il piatto. Dividete il riso in 4 ciotoline. Aggiungete un mezzo avocato affettato per ogni ciotola, il pesce (tenete da parte la marinatura), i pomodorini e l’alga nori. Guarnite con il cipollotto affettato, una spolverata di semi di sesamo tostati e un cucchiaio abbondante di salsa alla maionese per ogni ciotola. Distribuite due cucchiai di marinatura del pesce su ogni piatto.

Il Datterino con la Valigia – Giappone – Hokkaido cheese tart

Creata alla Kinotoya Bakery di Sapporo, nell’isola giapponese di Hokkaido da Shintaro Naganuma, la tortina al formaggio di Hokkaido (Hokkaido baked cheese tart) è ormai famosissima in tutta l’Asia, dove si è diffusa velocemente negli ultimi anni.

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Hokkaido è un’isola settentrionale del Giappone dove si producono ottimi prodotti caseari da allevamenti locali e dove tradizionalmente venivano prodotte crostate fresche con formaggio e frutta.

La nostra ricetta prevede l’uso di formaggi nostrani che richiamano la consistenza ed il gusto di quelli originari, da noi non reperibili. Potete gustare il dolce poco dopo averlo sfornato, ma anche freddo come una piccola cheesecake o a temperatura ambiente.

 

Ingredienti (per circa 18-20 tortine)
 
 Per la pasta
 200g di farina W170
 40 g di zucchero a velo
 100 g di burro 
 2 tuorli d'uovo
 2 cucchiai di latte

 Per la crema di formaggio
 300 g di formaggio spalmabile (tipo quark) 
 100 g di mascarpone
 40 g di parmigiano reggiano grattugiato
 60 g di burro 
 200 g di latte 
 60 g di zucchero a velo
 25 g di amido di mais
 2 uova
 2 cucchiai di succo di limone
 1 cucchiaino di estratto di vaniglia 
 un pizzico di sale

 

Procedimento

Preparate la frolla per la base delle tartellette. Impastate velocemente tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Lasciate riposare l’impasto coperto da una pellicola per circa un’ora in frigorifero.

Intanto preparate la crema al formaggio. Mettete i formaggi, il latte e il burro in una ciotola di vetro e cuocete a bagnomaria fino a quando non otterrete una crema fluida; aggiungete quindi l’amido di mais e lo zucchero a velo che avrete prima stemperato in qualche cucchiaio di crema al formaggio calda.

Proseguite la cottura fino a quando otterrete una crema densa e che “scrive” con il cucchiaio. Aggiungete quindi l’uovo intero, l’estratto di vaniglia, il succo di limone e il sale.
Lasciate raffreddare completamente la crema.

Stendete la frolla con il matterello, ad uno spessore di 5mm. Ricavatene dei dischi di circa 6cm di diametro. Ungete degli stampini da crostatina (potete utilizzare anche degli stampini monouso per muffin e dimezzarne l’altezza con una forbice).

Riponete i dischi di pasta negli stampini. Bucate il fondo con i rebbi di una forchetta.

Cuocete la frolla in forno caldo ventilato a 180 °C per 10 minuti. Estraete dal forno e lasciate raffreddare a temperatura ambiente.

Riempite una sac à poche con la crema al formaggio e riempite le basi di pasta frolla. Cuocete a 210 °C per 8-10 minuti.

Moscatello Muliner, Pozzolengo (BS)

Immerso in un paesaggio bucolico, tra il lago di Garda e i pendii morenici, si trova l’agriturismo ristorante Moscatello Muliner, un elegante albergo di collina con il fascino antico dei casolari di un tempo ma con il volto di un sofisticato ritrovo urbano. In una posizione privilegiata, è la sosta ideale per chi voglia una pausa dalle affollate sponde lacustri di Sirmione, a pochi minuti d’auto.

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Un luogo dove assaporare il tempo. Il ristorante e le stanze sono in gran parte frutto della supervisione artistica dello chef-architetto-pittore Lorenzo Bernardini, che ha saputo declinare il buongusto nella cucina e nell’impatto estetico della location. La parola chiave è quell'”indulgere” sereno che ha il favore e l’impressionabilità di una pellicola fotografica: laddove l’ambiente rilassa e appaga i sensi dei suoi ospiti, lì le emozioni sono più forti, perché lo spirito è più incline al piacere.

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La cucina di Lorenzo Bernardini offre un piacere dal linguaggio nobile ma immediato e questa simbiosi rara si trasforma sempre in un ricordo di forte impatto.

Varcando la soglia, la sala si apre in un recupero attento della struttura con una forte spinta artistica che si ritrova nelle pareti, nei decori e nella mise en place con influenze di astrattismo lirico e geometrico inserite in modo incantevole nella suite di arredi in cui vengono a crearsi spazi e aree che si susseguono appartate, ma in un ambiente continuo, il cui occhio si apre all’esterno attraverso le ampie vetrate.

La proposta della cucina, non nova sed nove è piuttosto ricca, anche sotto il profilo qualitativo e segue un ritmo stagionale. La cura del menù è attenta ai gusti e alle esigenze più ricercate, con riguardo anche al cliente vegetariano che ha sempre una proposta valida e mai banale. L’attenzione per il cliente è buona, soprattutto per la categoria del ristorante.

Dopo un amuse bouche, un gustoso cubetto di rifreddo di carne, iniziamo con due ottimi antipasti di origine contadina, la “pappa al pomodoro San Marzano, stracciatella di bufala e chips di patate ‘Vitelotte'” e il “tortino di patate di Moscatello  sfogliate, noce di manzo affumicato e rafano”. Puntuali le cotture e superlativa la delicata crema di rafano.

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Tra i primi, assaggiamo gli “gnocchi di patate di moscatello al ragout bianco di anatra e oca con pecorino di pienza” e il “mezzo pacchero rigato in dadolata di seppia dell’Adriatico, pisellini e zenzero candito”. Una sfida tra una tradizione forte e pervasiva e una ricerca fine e ambiziosa; il contrasto è netto e (de gustibus) non può che assegnarsi un vantaggio ad un piatto dalla forte espressione territoriale.

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Passiamo ai secondi: “guanciale di manzo” e “gamberi su torretta di cime di rapa, riso rosso selvatico e piccolo ristretto di crostacei”.

Concludiamo con un buon tiramisù (più classico) ed un gradevolissimo liquore infuso all’alloro. Come scriveva Savarin: “colui che non dice male di nessuno ha ben diritto di trattare con qualche indulgenza se stesso”.

Vini: –

Il conto: 62 €/ps

Milano Food Week 2018

Anche quest’anno a Milano si svolge la Food Week, che culmina con gli eventi di Taste of Milano, ospitato nella avveniristica location del Mall di Porta Nuova. Durante la settimana, produttori, chef e giornalisti del settore incontrano il pubblico che può assaporare in modo più immediato il “gusto” della Milano di oggi, fatta di eccellenze della cucina e della gastronomia ed una vivissima partecipazione sulla scena italiana e internazionale. Una Milano permeata di alta cucina erede della tradizione Marchesiana, così come di nuove realtà più esotiche e fusion, ed uno street food che abbraccia sempre più realtà regionali e di nicchia.

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Taste of Milano 2018

Milano è anche un palcoscenico privilegiato per tutti i produttori e gli imprenditori del settore enogastronomico che vogliano far conoscere direttamente prodotti meno presenti sui circuiti della grande distribuzione.

Fino a domenica 13 maggio la città ospiterà diversi eventi legati al food and wine; trovate tutte le informazioni sul sito ufficiale www.milanofoodweek.com.

Nella incantevole cornice del museo Diocesano, una interessante rassegna enologica con i vini di Best Wine Stars; fino a domenica sera è possibile partecipare a degustazioni e masterclass tematiche sul vino con sommelier e produttori italiani.

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Best Wine Stars 2018

Al Mall di Porta Nuova è invece proposta anche quest’anno la kermesse di Taste of Milano, con la partecipazione di importanti chef e ristoranti della città. Acquistando il biglietto di ingresso è possibile assaporare un “assaggio” della cucina milanese di oggi, innovativa e cosmopolita.

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Tra i partecipanti di quest’anno Andrea Berton (Ristorante Berton), Stefano Cerveni e Matteo Ferrario (Terrazza Triennale), Roberto Conti (Ristorante Trussardi alla Scala), Keisuke Koga e Guglielmo Paolucci (Gong), Giuseppe Postorino (Da Noi In), Andrea Provenzani (Il Liberty), Claudio Sadler (Ristorante Sadler).

Tra i piatti proposti, non perdetevi i cappelletti all’aragosta, insalata di pomodori confit, cipollotto di Tropea e basilico al pane tostato (Il Liberty), Dim Sum trilogia (Gong), la milanese in carpione con rucola e pomodoro (Ristorante Trussardi alla Scala), sfera di tiramisù “un altro pianeta” (Da Noi In).

Il Datterino con la Valigia – Francia – Ratatouille

La ratatouille è un piatto tipico della cucina provenzale e nizzarda. Il termine deriva probabilmente dall’occitano ratatolha, termine legato al francese touiller (rimestare). La sua origine sembra legata alla cucina militare: la rata era infatti una pietanza militare molto diffusa nel XIX secolo, una zuppa a base di patate, fagioli, con varie altre verdure e parti grasse animali.

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“Se è vero che siamo quello che mangiamo, io voglio mangiare solo cose buone!” – Remy nel film Ratatouille, 2007


La ricetta della ratatouille non è precisamente codificata; si tratta di uno stufato di verdure che prevede però sempre l’uso di cipolle, peperoni, zucchine, melanzane e aglio, con l’aggiunta di timo, basilico o erbe provenzali. Secondo diverse versioni la cottura delle verdure può essere in uno o due tempi, cioè aggiungendo progressivamente gli ingredienti crudi o cucinandone alcuni a parte per favorirne la consistenza e il sapore a cottura ultimata. In quanto piatto povero, non fu inizialmente molto amato dall’alta cucina francese: Simon-Jude Honnorat, famoso intellettuale e linguista, nel 1848 nel suo dizionario provenzale-francese lo descrisse con aggettivi a dir poco sprezzanti.

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Un piatto simile, ma meno diffuso fuori dalla Francia è la bohémienne, uno stufato di pomodori e melanzane con aglio e olio d’oliva. I suoi ingredienti tipicamente mediterranei sono comunque presenti in molti piatti di altre culture: il pisto manchego spagnolo, la caponata e la peperonata in Italia, il ghiveci de legume rumeno, il briami greco, l’İmam bayıldı turco.

La fama della ratatouille è certamente legata anche al film di animazione Disney che ne porta il nome; il piatto preparato dall’insolito chef della pellicola è stato creato ad hoc dal californiano Thomas Keller, di cui potete trovare la ricetta qui ed è una versione molto elaborata e scenografica della famosa ricetta. Il risultato sulle papille gustative del ferocissimo critico gastronomico Anton Ego, lo potete rivedere qui sotto.

 

 

La ratatouille è ottima sia come antipasto che come contorno, calda o fredda e c’è chi sostiene che lasciarla riposare per un giorno dopo la cottura ne migliori il gusto.

Vediamo come prepararla!

Ingredienti (per circa 4 persone)

350 g di melanzane lunghe
350 g di zucchine
mezzo peprone rosso 
mezzo peperone giallo 
mezzo peperone verde
4 piccole cipolle dorate 
4 pomodori ramati maturi
4 spicchi d’aglio rosso
30 g di doppio concentrato di pomodoro
timo fresco
alcune foglie di basilico
olio d’oliva
sale
pepe nero macinato fresco

 

Procedimento

Iniziate con la preparazione di tutte le verdure.

Per i pomodori, togliete il picciolo centrale e praticate un taglio a croce sul lato opposto. Immergeteli per un minuto in acqua bollente e trasferiteli poi in acqua molto fredda 2-3 minuti; toglieteli dall’acqua e pelateli. Divideteli in quattro quarti ed eliminate i semi e l’acqua. Tagliateli a pezzetti di 2-3cm.

Tagliate le zucchine a rondelle spesse circa 1cm.

Dividete le melanzane in quarti e affettatele a pezzettoni. Spolveratele con due prese di sale fino e tenetele da parte.

Mondate i peperoni, tagliateli prima a listarelle e poi a pezzettoni.

Tagliate le cipolle a fettine sottili e tritate l’aglio al coltello.

Passate ora alla cottura.

Fate appassire la cipolla e l’aglio in una casseruola con 6-7 cucchiai di olio di oliva, a fuoco dolce, per 5 minuti. Aggiungete i peperoni e un rametto di timo fresco.

Contemporaneamente all’aggiunta dei peperoni, in un’altra casseruola con un filo d’olio, iniziate la cottura di zucchine e melanzane a fuoco vivace (per quest’ultime, eliminate l’acqua rilasciata ma non sciacquatele).

Trascorsi 15 minuti trasferite le melanzane e le zucchine nella casseruola insieme ai peperoni. Aggiungete una spolverata generosa di pepe nero e il concentrato di pomodoro, diluito in pochissima acqua. Coprite e lasciate stufare per 15 minuti.

Alzate la fiamma e aggiungete il pomodoro e qualche foglia di basilico spezzettato a mano. Coprite nuovamente le casseruola e completate la cottura a fuoco dolce per altri 20 minuti.

Al termine della cottura le verdure dovranno essere morbide ma non in poltiglia. Servite su un piatto da portata con alcune foglie di basilico fresco e, se lo avete, una spolverata di fleur de sel de Camargue (o sale grosso). Se preferite, aggiustate di sale fino ma solo a fine cottura.

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